lunedì 1 luglio 2013

Un ricordo che sbiadisce

Martedì scorso, 25 giugno, si è celebrato il 63° anniversario dell'inizio della guerra di Corea, data resa particolarmente significativa quest'anno, in quanto segue di poche settimane il difficile periodo fatto di provocazioni e minacce di ritorsione vicendevolmente fra il Governo di Pyongyang, gli Stati Uniti, Seoul e i loro alleati nella zona Asia Pacifico. All'evento è stata ovviamente data un'abbondante copertura mediatica, con articoli di approfondimento ed editoriali molto interessanti. Tra i vari articoli ne sottolineo due, pubblicati entrambi dal The Korea Herald, il principale quotidiano sudcoreano in lingua inglese.
Il primo, intitolato “Not forgotten” (non dimenticati), risale all'edizione del fine settimana precedente e  riportava la testimonianza di un ex prigioniero di guerra sud coreano, catturato nei giorni immediatamente precedenti la fine del conflitto e deportato in Corea del Nord dove è rimasto per decine di anni a lavorare forzatamente nelle miniere. Soltanto dopo un lungo periodo e tra mille peripezie è riuscito a ritornare al Sud e a ricongiungersi con ciò che restava della famiglia e degli amici di un tempo. Il racconto rivela un quadro impressionante ed ancora molto vivo di un paese diviso con il righello e senza misericordia dopo quello che è stato il più sanguinoso conflitto combattuto negli anni della "guerra fredda". Tre cose colpiscono di quell'articolo: la prima è la quantità delle persone coinvolte; un rapporto delle Nazioni Unite stima intorno alle 82 mila unità i soldati sudcoreani dispersi in azione di guerra, di cui molti si presume siano rimasti prigionieri di Pyongyang. Soltanto poco più di 8 mila sarebbero coloro che sono stati restitutiti dalla Corea del Nord e hanno potuto fare ritorno al Sud. Secondo, l'incapacità della diplomazia di liberare queste persone che, di fatto, si sono costruite loro malgrado una nuova esistenza sotto il regime nordcoreano. Infine, l'impatto di questi reduci una volta liberati, con una patria completamente cambiata e che era stata loro descritta come un inferno in terra dalla propaganda del regime. Lo shock emotivo e culturale di chi riesce ad attraversare la frontiera e raggiungere Seoul è un qualcosa di veramente impressionante, che richiede un lungo periodo di accompagnamento psicologico.

Stride dopo la lettura di questo reportage, il venire a conoscenza del fatto che in Corea del Sud una percentuale abbastanza bassa di persone ricorda fatti inerenti la guerra che di fatto spezzato in due il Paese e con esso l'esistenza di tante famiglie. Altro che “not forgotten”. Oggi, secondo la statistica pubblicata dallo stesso quotidiano il  giorno seguente, più del 30% degli adulti non ricorda la data di inizio del conflitto, percentuale che supera il 50% quando si coinvolgono i giovani. Un dato che fa pensare. La rimozione della memoria non è mai un primo passo nel cammino della riconciliazione. Perdonare e riconciliarsi sono traguardi da raggiungersi con la sofferenza del ricordo, del riconoscimento della responsabilità, di una scelta di giustizia. L'ignoranza e la dimenticanza, al contrario, possono soltanto generare il mostro della perpetuazione storica dello stesso identico errore.

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