mercoledì 15 gennaio 2014

Contro il logorio della vita moderna: 10 Consigli di Giuseppe Allamano (1)

Cercate Dio solo e la sua santa volontà

I dieci consigli contro il logorio della vita moderna, che a partire dal mese di gennaio e per tutto l’anno Missioni Consolata vi propone, sono anche conosciuti come “I dieci comandamenti” dell’Allamano. Nati dalla creatività pastorale di Mons. Luis Augusto Castro (attualmente Arcivescovo di Tunja, Colombia) essi riassumono in poche parole il pensiero del nostro Fondatore. Sicuramente la sintesi che ci propongono non è assolutamente esaustiva e alcuni, di fatto, li considerano poco più che degli slogan. Del resto, come potrebbero dieci frasi esaurire il pensiero di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita all’apostolato diocesano e alla missione? Sono però dieci passwords che colpiscono per la loro brevità ed immediatezza ed offrono una chiave di accesso all’umanità e alla spiritualità di un santo prete come fu senza ombra di dubbio Giuseppe Allamano. Va detto inoltre che lo spirito di questi brevi articoli non è tanto quello di spiegarne il pensiero quanto quello di partire da alcuni suoi spunti per offrire una scintilla di spiritualità missionaria che possa illuminare la nostra quotidianità.
«Contro il logorio della vita moderna» era il motto che reclamizzava anni fa un noto liquore digestivo. La vita contemporanea non ha certamente diminuito l’impatto devastante sui nostri sistemi gastrici, né ha contribuito a migliorare la qualità delle nostre relazioni. Va da sé che, forse, il nostro logorio esistenziale va affrontato con qualcosa di diverso, più radicale, che tocchi alla radice il malessere del quotidiano che in molti modi ci sfida e impedisce di raggiungere la serenità nella quale vorremmo essere immersi. Fermo restando che la perfetta felicità è un obiettivo che raggiungeremo a tempo debito, viene da chiedersi se, in materia spirituale, sconfiggere le amarezze con qualcosa di amaro sia il rimedio più adatto.

La cura dei consigli di Giuseppe Allamano vuole invece essere un rimedio dolce, se non altro perché proprio la dolcezza era una delle sue qualità principali, come venne del resto raccontato da chi ebbe modo di incontralo di persona. Certamente, come tutti i rimedi, anche questa cura potrà lasciarci in bocca il sapore non gradito di una medicina, ma pensiamo che, se davvero potrà farci bene, il gioco sarà valso la candela. Sicuramente, il beato Allamano, ce l’avrebbe somministrata con uno zuccherino, giusto per darci un incoraggiamento, una spinta a fare bene, meglio o diverso.
Non mi piace però definire questi pensieri come dei “comandamenti”. Innanzitutto perché estrapolati come sono da un contesto più ampio perdono obbligatoriamente la loro forza coercitiva; non appartengono a nessun codice. In secondo luogo perché l’insegnamento spirituale di Giuseppe Allamano si è fondato su un approccio molto dialogico ed esperienziale in cui il “si deve fare così” o il “non si deve fare così” non nascevano tanto dall’esigenza di imporre una dottrina, quanto e soprattutto dalla comunicazione di un’esperienza di vita, la sua o quella dei suoi punti di riferimento imprescindibili: Cristo, la Madonna e i Santi, iniziando da suo zio, San Giuseppe Cafasso.
Questo approccio mi sembra molto moderno e attuale. Forse è per questo che, in un epoca in cui ogni tipo di autorità viene messa in dubbio, e quella ecclesiale in particolar modo soffre la sindrome dell’abbandono, la figura dell’Allamano continua ad attirare le persone, anche al di fuori della vita religiosa o del sacerdozio. Il suo understatement, tipico del piemontese doc. quale lui era, lo rendeva una persona affabile e disponibile ai suoi contemporanei e continua a renderlo tale a noi. A tutti, ieri ed oggi, Giuseppe Allamano propone il suo primo Consiglio, la prima e fondamentale medicina per l’uomo contemporaneo: “Cercate Dio solo e la sua santa volontà”.
Ad maiorem Dei gloriam
per la maggior gloria di Dio. In un periodo in cui la spiritualità è intrisa degli insegnamenti di Sant’Ignazio di Loyola, Giuseppe Allamano fa suo questo motto del fondatore dei gesuiti per tracciare quello che per lui è un vero e proprio programma di vita.  Durante le sue Conferenze, importanti momenti di insegnamento e condivisione rivolti alla formazione dei missionari e delle missionarie, ne ripete varie volte le parole e il senso, così come oggi vuole farne partecipi anche noi. In un mondo che ha celebrato nel recente passato “la morte di Dio” e che continua oggi a vivere ed operare scelte come se Dio non esistesse, questo prete piemontese ci invita ad andare “in direzione ostinata e contraria” (prendo a prestito questa fortunata definizione da una canzone di Fabrizio De André), scegliendo Dio come unica ragione del nostro esistere. Solo Dios basta, diceva Teresa d’Avila, altra santa amata e citata da Giuseppe Allamano. Dio è sufficiente: lui soltanto è il termine ultimo del nostro tanto arrabattarci.
Chiaramente il “cercare Dio soltanto” significa relativizzare i nostri bisogni, le nostre necessità e, perché no, almeno ogni tanto, anche i nostri capricci. Un esercizio chiaramente in controtendenza in un’epoca in cui, al contrario, si relativizza Dio in nome di un individualismo sempre più sfrenato.
Mi sembra importante l’accento che Giuseppe Allamano pone sull’azione di “cercare” Dio, condizione necessaria per poterne fare poi la volontà. Dobbiamo imparare a lasciare parlare il Signore, mettendoci, come lui stesso diceva, in un atteggiamento di “santa indifferenza”, che non vuol dire farsi gli affari propri, quanto invece “mettere da parte il nostro ingombrante io” per cogliere la presenza di Dio lì dove egli vuole manifestarsi ed essere disponibili a fare ciò che da noi vuole, con determinazione e perseveranza.
Il percorso di fede è un cammino che si genera nell’incontro con Cristo, incontro che deve però essere continuamente alimentato per poter crescere, rafforzarsi, diventare energia vitale capace di muovere montagne (citazione). Ognuno di noi conosce bene i mille terreni accidentati di cui è formata la nostra esistenza, in cui il seme della Parola che cade non trova le condizioni per dare frutto. La vita di fede è fatta di un continuo procedere alla ricerca del terreno fertile e, una volta trovata la terra buona questa va curata, coltivata, concimata e difesa da chi potrebbe rovinarla. Il missionario e, più in generale, il cristiano non può permettersi di non continuare a cercare Dio e la sua volontà lì dove vive, ogni giorno della sua vita.
Sicuramente Giuseppe Allamano era un uomo di preghiera. Dio lo cercava nel silenzio del Santuario della Consolata, nel “coretto” da cui poteva contemplare in un’unica occhiata i due amori della sua vita: la Madonna e l’Eucaristia. Tuttavia, la straordinaria capacità che gli viene riconosciuta nel rispondere ai bisogni delle persone o delle situazioni che si trovava davanti, dimostra come Dio gli si presentasse anche in tanti altri modi: nei drammi personali ascoltati nel confessionale, nelle solitudini e nelle sofferenze delle persone che assisteva nel suo apostolato, nelle lettere e nei diari dei suoi missionari e missionarie che, da lontano, gli raccontavano le gioie e le difficoltà della vita in missione.
Oggi abbiamo bisogno di riscoprire questo approccio che ci impone di cercare Dio “solo”, ma ci chiede anche di non cercarlo “da soli”; Papa Francesco ci spinge, con la forza di cui è capace il Vangelo quando deve imporre la verità, a percorrere strade affollate, a farci compagni di viaggio di chi cammina, a volte con fatica, percorsi accidentati della vita. Non possiamo permetterci, come missionari del Vangelo, di annunciare un Dio che non è in sintonia con la vita che viviamo, che non parla il linguaggio dei nostri giovani, che non si interessa di chi sta per perdere il lavoro, che non viaggia sui gommoni di chi fugge dalla fame o dalla guerra, che non dice due paroline giuste nell’orecchio di chi, in nome dei diritti del proprio Io, è disposto ad abbandonare ai margini della storia chi non riesce a trovar posto nel suo progetto di vita.
Come alcuni anni fa sosteneva giustamente Stephen Bevans, uno dei più importanti teologi della missione contemporanei, la figura del missionario può essere paragonata a quella di un “cacciatore di tesori”, che si reca in un posto carico della ricchezza della buona novella e l’annuncia, rendendosi però conto molto presto che le sue parole non evocano assolutamente nulla alle orecchie di chi lo ascolta, proprio perché non sono espresse con la lingua e con le forme culturali appropriate. Scavare nelle culture per estrarre il tesoro nascosto vuol dire essenzialmente incontrare l’essere umano nel suo contesto, agire con una mistica dagli occhi aperti, capace di una spiritualità concreta, atterrata nella vita di tutti i giorni. Vuol dire scavare non da soli, ma con la gente che ci è vicino, con la quale ci si incontra o ci si scontra tutti i giorni in famiglia, per la strada, al lavoro, o nelle nostre comunità ecclesiali. Dio vive nella storia, e la sua ricerca, fenomeno che nasce e matura inizialmente nel cuore dell’essere umano, assume la sua forma più piena e compiuta quando viene condivisa, con chi è di casa e con chi è lontano, con chi la pensa come noi e con chi può insegnarci qualcosa da un’esperienza diversa dalla nostra, con chi ci precede nel cammino della fede o con chi si aspetta da noi una parola di consolazione.
Ancora oggi colpiscono l’immediatezza e la concretezza di quest’uomo, qualità che sintetizzano molto bene la cultura contadina delle origini con la mentalità dell’uomo vissuto quasi sempre in città, capace però anche di spalancare le finestre della sua casa sugli orizzonti infiniti della missione. Pur con un raggio di azione davvero limitato (Giuseppe Allamano ha passato 46 anni della sua vita ad essere Rettore sempre dello stesso santuario), questo sacerdote della diocesi di Torino ha insegnato alle prime generazioni di missionari ad allargare i paletti delle loro tende e spinge noi, figli e figlie del nostro tempo, ad essere uomini e donne globali, planetari (per usare la definizione di un altro grande prete a noi più contemporaneo, Ernesto Balducci) desiderosi di cercare Dio, ma anche di non limitare la ricerca soltanto ai posti dove pensiamo di poterlo sicuramente trovare.

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