Amate una religione che vi offre le
promesse di un'altra vita e vi rende più felici sulla terra
Se una pillola non aiuta a star bene, perché prenderla? Questo semplice e
lapalissiano principio vale anche per le “pillole” dell’Allamano: prima di
somministrarle bisogna essere perlomeno convinti del loro effetto benefico; la
bontà di un prodotto va certificata con tanto di risultati.

Chi crede dovrebbe avere una risposta pronta da offrire, una
soluzione in grado di soddisfarlo nel suo percorso di ricerca e pronta per
essere condivisa con tutti: il cammino di fede fa dire al credente che la meta
agognata non può essere altri che Dio, che è lui la vera felicità. Il desiderio di Dio, per il cristiano, è scolpito
a chiare lettere nel cuore dell'uomo, e Dio, da par suo, non smette un secondo di
attirare a sé la sua creatura, proprio perché la vuole felice.
Chiaramente ci si trova di fronte ad una difficoltà: se Dio
è la felicità e il suo profondo desiderio è che tutti gli uomini siano felici,
perché, di fatto, la cosa non si verifica? In effetti, il cristiano è convinto
che non sia sufficiente il puro e semplice sforzo dell’uomo per raggiungere il Dio-
felicità: la felicità è grazia, dono. Tuttavia, per poter ricevere tale regalo,
l’essere umano deve collaborare attraverso delle scelte concrete di vita che
gli permettano di aprirsi alla grazia che Dio gratuitamente e generosamente offre.
L’a
zione umana non è l’unica causa, e
neppure la causa principale del conseguimento della felicità, ma è tuttavia
indispensabile proprio perché il dono di Dio possa essere liberamente accolto.
Questa, in poche parole, è la teoria; in pratica le cose non
sono così semplici. Oggi, in effetti, il mondo Occidentale è abbastanza
scettico rispetto a quanto passa il nostro convento in materia. In uno dei suoi
ultimi saggi, il filosofo Umberto Galimberti analizza il fenomeno della perdita
del sacro che colpisce la cristianità in generale, rendendo il cristianesimo, agli
occhi di coloro ai quali si dirige, una religione dal cielo “vuoto”, che rivela
il nulla. La de-sacralizzazione del mondo ha fatto perdere nell’uomo la fiducia
nella possibilità di un Dio trascendente, totalmente altro. Se Dio è felicità,
da questa felicità il mondo si è separato, ne ha decretato la morte, l’ha
rescissa dalla propria storia.
Dire che la felicità risiede in Dio ad un interlocutore che
da Dio si è separato significa iniziare un dialogo tra sordi che non porta a
nulla. Eppure, se ci pensiamo con attenzione, molte delle nostre catechesi,
delle omelie che ascoltiamo o anche dei contenuti religiosi che portiamo nelle
nostre discussioni di tutti i giorni sono impostati su questo postulato, calato
dall’altro come una verità che dovrebbe essere inoppugnabile per chi crede, ma
che lascia invece le altre persone scettiche o, nella maggior parte dei casi,
completamente indifferenti.
La pillola dell’Allamano di questo mese, ci aiuta ad
affrontare il tema da un altro punto di partenza, sicuramente più evangelico,
con un approccio pedagogico “dal basso”, che tiene conto del punto di partenza
dell’altra persona e non solamente delle nostre convinzioni personali.
Curiosamente, la formulazione non è propriamente “farina del suo sacco”, ma ha
bensì un’origine addirittura papale.
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Giuseppe Allamano con i primi quattro missionari inviati in Kenya |
La frase contenuta nella “pillola” di oggi, è stata scritta da
Giuseppe Allamano in una lettera indirizzata ai missionari del Kenya, datata 2
ottobre 1910. In questa lettera l’Allamano ricordava ai propri missionari che
se desideravano conseguire i frutti del proprio lavoro dovevano far sì che tale
lavoro fosse: perseverante, concorde e illuminato. I primi due aggettivi non
necessitano qui di grande approfondimento, mentre è proprio a proposito di
quest’ultima caratteristica che il fondatore ci offre la sua pillola
L’accento è posto su
una questione di metodo missionario che
l’Allamano voleva partisse da un contatto ravvicinato con la gente, i suoi
bisogni e i suoi problemi. Tale metodo aveva avuto la necessaria consacrazione
grazie al Decreto di approvazione da parte di Propaganda Fide e alle parole
benedicenti di Papa Pio X, riportate dall’Allamano nella lettera sopraccitata e
in cui, lodando e approvando il metodo missionario dell’Istituto, il Pontefice
esprime il seguente concetto: “Bisogna degli indigeni farne tanti uomini
laboriosi per poterli fare cristiani: mostrare loro i benefici della civiltà
per tirarli all’amore della fede: ameranno una religione che oltre le promesse
d’altra vita, li rende più felici su questa terra”. Più felici su questa terra:
prima di fare il cristiano occorre fare l’uomo: un uomo “laborioso”, capace di
apprezzare i “benefici della civiltà” ed
essere quindi anche attratto all’amore della fede.
Un approccio di questo tipo impegna oggi il cristiano a due
livelli. Il primo è quello della testimonianza. I cristiani sono chiamati ad
essere testimoni della loro fede come condizione di possibilità per poter
vivere una vita felice. Come scrive Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose,
nel suo saggio Le vie della Felicità.
Gesù e le beatitudini (Rizzoli, Milano 2010): “Noi cristiani dovremmo saper
mostrare a tutti gli uomini, umilmente ma risolutamente, che la vita cristiana
non solo è buona, segnata cioè dai tratti della bontà e dell’amore, ma è anche
bella e beata, è via di bellezza e di beatitudine, di felicità.
Chiediamocelo con onestà: il
cristianesimo testimonia oggi la possibilità di una vita felice? Noi cristiani
ci comportiamo come persone felici oppure sembriamo quelli che, proprio a causa
della fede, portano fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un giogo
pesante e oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Mt
11,30)?”
Chi vive nel concreto la logica delle beatitudini assume in
sé uno stile di vita, copiato sulla matrice dello stile di vita incarnato da
Cristo. Siamo, certamente, al limite del paradosso cristiano. La sequela di
Cristo è esigente, significa passare per la porta stretta, abbracciare la croce
che può assumere nel concreto diversi aspetti: quello del servizio, della
sofferenza, dell’impegno radicale e senza compromessi, persino quello del
martirio. Ciononostante, le beatitudini, la Magna
Charta del cristiano, le nuove tavole della legge che esprimono l’annuncio
sintetico della Buona Novella sono, in sé, una vera e propria chiamata alla
felicità.
In una società come la nostra dove l’indifferenza e il
relativismo esprimono una chiara mancanza di senso nei percorsi esistenziali
delle persone, le beatitudini sono un aiuto a vivere con consapevolezza la
propria vita, nella ricerca di un perché capace di illuminare di senso il
nostro agire, il nostro vivere e il nostro morire e, una volta realizzato è
capace di portare alla felicità.
Il secondo livello consiste invece nello sforzo di agevolare
coloro che incontrano più difficoltà ad essere felici. È il livello della consolazione, che consiste
nel mettersi a fianco e camminare con coloro che sempre rimangono ai margini,
attardati a causa del peso di esistenze faticose. Come fare a pronunciare la
parole felicità di fronte a qualcuno che vive una vita di scarto o si sente in cuor
suo di sprecare la propria esistenza?
Eppure sono proprio queste le persone che esigono un inizio di felicità
già su questa terra. Lo esige il senso di giustizia che sta alla base di una
vita serena, pacifica e, di conseguenza, felice. Il povero che non riesce ad
uscire dal ciclo di miseria in cui è entrato, il malato che si scontra con
l’impossibilità di curare la sua infermità o di lenire la sofferenza, l’afflitto
che non riesce a sciogliere il nodo che gli attanaglia il cuore non possono
accontentarsi, loro e gli altri come loro, di ripetersi “piove sempre sul
bagnato”.
La Scrittura ci dice che piove sui giusti e sugli ingiusti e
nel rispetto di questa verità non può mancare l’impegno del cristiano a trovare
il modo di far sentire felice, già in questo mondo, le persone che soffrono.
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Padre Godfrey Msumange |
La pillola non può essere un palliativo. Il Vangelo non
serve come cura placebo. Papa Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato è
stato molto in sintonia con questo approccio e ha pubblicato la sua prima
Esortazione apostolica intitolandola “Il Vangelo della gioia”. Il cristiano
deve essere un uomo gioioso, felice della sua scelta, della sua vocazione, del
sì detto senza ripensamenti al Signore. Tale gioia, sperimentata in questa vita
e testimoniata nel quotidiano diventerà motivo di speranza e gioia per gli
altri, aprendo finestre nelle chiuse camere di dolore e dando scampoli di vita
felice a chi invece aveva ormai perso la speranza di ritrovare una ragione per
andare avanti.
Altre vie non sono possibili se vogliamo che la felicità
fragile ed episodica che possiamo sperimentare in questa vita porti alla
felicità solida e duratura promessaci da Dio come premio per il “sì” da noi
dato al suo programma di salvezza. Per esempio, l’illusione occidentale di
essere felici grazie al benessere, alla possibilità di pagare occasionali
momenti di beatitudine sta venendo meno giorno dopo giorno. La crisi che
l’Europa (e non solo) sta attraversando mette a dura prova la pretesa di poter eternamente difendere a
costo zero l’agio e il benessere che costruiti in questi anni.
Il consiglio spirituale che l’Allamano ci propone per questo
mese ci invita invece a scoprire con le persone che incontriamo, che la
felicità si costruisce insieme, giorno dopo giorno, nella buona e nella cattiva
sorte, facendo uscire dalla nebbia un raggio di sole alla volta, fino ad
ottenere la previsione di una giornata finalmente serena.
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