Elevatevi sopra le idee
ristrette che predominano nell'ambiente.
Stacco dalla parete e riprendo
in mano, per sfogliarlo con calma, il calendario che quest’anno la rivista
Missioni Consolata ha dedicato al beato Allamano. Riguardo le immagini del
volto del Fondatore, vecchie fotografie che i moderni strumenti della tecnica
hanno saputo ripulire dalle inevitabili tracce del tempo. Vi ritraggono
Giuseppe Allamano da giovane, coi giovani chierici, con i primi missionari
partenti per l’Africa, poi come uomo maturo e infine anziano. I dodici mesi
dell’anno ripercorrono la storia di una vita sacerdotale filtrata attraverso
gli sguardi, tentando di mettere a fuoco quel volto buono e paterno che tante
testimonianze di chi l’ha conosciuto riportano con insistente piacere.
A ben guardare, però, si scorge
nelle immagini anche il piglio risoluto, deciso, di colui che è buono con
sincerità, non per debolezza o convenienza. Il volto non ha nulla di debole e
comunica serenità e determinazione. Non so se altri lettori saranno stati
attratti, sfogliando il calendario, da questa caratteristica del viso; forse
sono io che ci ricamo sopra in maniera eccessiva, lasciandomi guidare dalla mia
sensibilità, può darsi, non lo posso escludere. Mi sembra però che lo sguardo
del fondatore lasci intravedere qualcosa di lui, del suo modo di essere e di intendere
la vita. Gli occhi sono lo specchio dell’animo, recita un antico adagio, che
pare essere particolarmente valido nel caso di Giuseppe Allamano.
La pillola di questo mese non fa
infatti riferimento ad una frase di Giuseppe Allamano, quanto semmai a un
atteggiamento da lui tenuto nei confronti della vita e della realtà nel quale
si è trovato ad operare. Ad una certa fragilità fisica, cosa che gli impedì a
suo tempo di essere missionario sul campo, e alle indubbie e molte difficoltà
di ogni tipo incontrate nel suo lungo ministero sacerdotale, l’Allamano
opponeva una volontà di ferro, alimentata da una fiducia incrollabile nella
provvidenza divina e nella presenza consolatrice e materna della Madonna. I
suoi occhi trasmettono tenerezza, ma allo stesso tempo acutezza e
determinazione.
Se il resto delle fotografie
che lo ritraggono ne collocano la figura in un tempo e in un contesto preciso,
lo sguardo sembra bucare le immagini e proiettarsi al di là di esse, verso
spazi che trascendono gli ambienti del torinese da cui, salvo per pochi ed
eccezionali viaggi, l’Allamano non si è mai mosso. I suoi sono occhi che
viaggiano, perché seguono le rotte di un cuore costantemente orientato verso luoghi
da consolare, lungo tragitti mai scontati. Giuseppe Allamano ha lo sguardo
profondo, vive la sua fede e il suo ministero in un’obbedienza matura e
responsabile, rispettando la tradizione e l’autorità in un modo dinamico e
creativo, senza mai sottomettersi alla legge del “si è sempre fatto così”. Sono
tantissimi gli esempi in cui prende posizione e con “delicata fermezza” va
avanti per la sua strada, pronto, se lo vede necessario, a dare uno scossone
allo status quo.
Oggi, questo sguardo si rivolge
verso di noi, chiamati a vivere la missione in Europa? Mi sembra di scorgere la
presenza del volto dell’Allamano mentre leggo il Messaggio di Papa Francesco
per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, celebrata il 19 gennaio
scorso. «La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo “Andate e fate i discepoli
tutti i popoli”, è chiamata ad essere il Popolo di Dio che abbraccia tutti i
popoli, e porta a tutti i popoli l’Annuncio del Vangelo, poiché nel volto di
ogni persona è impresso il volto di Cristo». Che bella immagine amplia ed
inclusiva della missione, missione che oggi ci spinge non soltanto ad “andare”,
ma anche a ricevere e ad essere accoglienti. Il volto di Giuseppe Allamano
riflette il volto di Cristo e il suo sguardo tradisce la voglia di imprimerlo
con forza sul volto di chi incontra, vicino o lontano… anche del migrante o del
rifugiato.
Mi sembra di poter dire che
Papa Francesco sarebbe piaciuto al nostro Fondatore… e viceversa. Se si fossero
incontrati si sarebbero probabilmente scambiati due battute in piemontese,
giusto per fare conoscenza, e poi avrebbero cercato di capire come far brillare
il volto di Cristo impresso in ogni persona, partendo dalla realtà concreta in
cui l’uomo vive, ma senza lasciarsi imbrigliare da essa.
I primi mesi del pontificato di
Francesco sono una testimonianza viva della bontà della pillola allamaniana di
questo mese, prescritta con continuità in quasi tutti i suoi interventi, nel
tentativo di plasmare una cristianità matura e responsabile, un popolo di Dio
che cammina “in uscita”. Scrive Papa Francesco nella sua recente esortazione
apostolica Evangelii Gaudium: « La
Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono
l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e
festeggiano (…) La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso
l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa
fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro,
cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi»
(Francesco, EG n. 24).
Prendere l’iniziativa senza
paura può voler dire, a volte, scrollarsi di dosso l’opinione dominante. La
notizia, per essere tale, è novità e la buona notizia non sfugge a questa
regola. Ecco perché, rivolgendosi ai giovani universitari la prima domenica di
Avvento, papa Francesco ricorda loro l’impegno di essere testimoni coraggiosi
di una diversa narrativa del mondo: «Se non vi lascerete condizionare
dall'opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi
cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente». Concetto
chiaro, questo, anche nel pensiero spirituale di Giuseppe Allamano.
L’idea dominante diventa
un’idea ristretta, anche quando si certifica come figlia della globalizzazione.
È il grande paradosso in cui l’umanità si dibatte e che trova i suoi accenti
più acuti nella nostra cara Europa. In un mondo in cui sembra valere tutto e il
contrario di tutto, in cui a livello di valori si sopravvive bene grazie al più
smaccato relativismo, campa in realtà bene solo e soltanto chi si adegua ad una
cultura che privilegia ciò che è esteriore, facilmente e immediatamente
conseguibile, veloce, apparente, provvisorio. Le logiche che, al contrario,
propongono narrative differenti, impostate sul locale, il partecipativo, sul lento
ma sicuro procedere, sulla libertà di poter scegliere, sul discernimento
comunitario vengono ostacolate, cassate, a volte irrise e perseguitate.
La missione è ciò che aiuta il
cristiano ad alzare la testa, ad elevarsi sopra le mentalità ristrette e ad
esprimere qualcosa di nuovo. La missione nasce dalla novità del Vangelo, che porta
con sé per costruire un mondo nuovo, migliore. La missione non sopporta idee
dominanti perché vive sotto il dominio dello Spirito di Dio. La missione offre
volti nuovi alla nostra teologia, che cessa di essere ristagnare quando si
concede al confronto con l’altro. La missione rinnova e rafforza la fede,
attraverso il dono della propria esperienza di Cristo a chi ancora non ne ha
mai sentito parlare o l’ha completamente smarrito dai propri orizzonti. La
missione vivifica la nostra spiritualità, perché la mette a confronto con la
realtà, per non farla viaggiare a quote siderali mentre la gente cammina al
lato delle strade.
Quale missione, allora, in
questa Europa che cambia? Quale progetto missionario per orientare la nostra
azione? Quale pista da percorrere ci attende? Il dove, il come e il quando lo
diranno il contesto e il discernimento che ciascuno farà alla luce della Parola
di Dio e del proprio carisma. Questo discernimento sfida in modo particolare
proprio noi missionari, chiamati in modo speciale a trovare un modo
significativo e attuale di essere religiosi e autentici testimoni di
evangelizzazione. Ci troviamo di fronte a domande scomode che ci obbligano ad
una riflessione che potrà forse chiederci precise scelte di vita. Quali sono le
idee ristrette che oggi condizionano i nostri ambienti e costringono, noi, le
nostre comunità, le nostre famiglie a vivere “imbrigliati”, incapaci di essere
persone “in uscita”? Quali sono queste
idee ristrette che impediscono un incontro vero con gli altri, che proponga un
messaggio che dica qualcosa, che abbia un minimo di senso, che susciti qualche
domanda e, magari, apra uno spiraglio verso il futuro e la salvezza promessa?
Cosa dobbiamo fare per elevarci al di sopra di esse, per proporre qualcosa di
alternativo e liberante?
L’ uomo che riuscì a fondare
due Istituti missionari, pur restando rettore del Santuario a lui affidato e
senza mai mettere piede in missione, avrebbe senz’altro qualcosa da dire. Merita
dare ancora uno sguardo al calendario e provare a vedere se riusciamo a farci
ispirare ancora un po’ dallo sguardo di Giuseppe Allamano. Se riuscissimo poi a
vedere dove punta quello sguardo, noteremmo come questo dimori a lungo sul quadro
della Madonna Consolata e sul tabernacolo. Non ci conviene precorrere i tempi;
queste sono altre pillole che Giuseppe Allamano ci consiglierà di prendere e,
ben lo sappiamo, ogni cura deve rispettare la giusta posologia.
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