domenica 23 ottobre 2011

Missione: amore globale

Che cos'è la missione? Perché, oggi, essere missionario? Che senso ha portare il Vangelo ai quattro angoli del mondo? Perché imporre il proprio credo ad altri, che hanno la loro religione, che non credono in nulla e sono ben felici di poterlo affermare, che semplicemente non sono interessati?
Oggi queste domande vengono poste (o per lo meno albergano nel cuore di molti) soprattutto in Occidente, mischiate in mezzo alle molte altre che mettono in questione il significato, la coerenza e la legittimità dell'essere prete, religioso... a volte cristiano in senso lato (e così deve essere per il cristiano che davvero crede nel DNA missionario della sua fede, che il battesimo racchiude il compito di diventare annunciatori di... di che cosa?).
Il Vangelo di questa domenica ci ricorda con una semplicità disarmante, evangelica, è proprio il caso di dire, il senso della missione e il contenuto del suo annuncio: l'amore, globale al punto da comprendere i nemici, disarmante e disarmato, infuocato e perciò inarrestabile, contagiante, incontenibile.

«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?» chiese a Gesù un fariseo per metterlo alla prova, per metterlo in imbarazzo, per vedere se Gesù, dalla gente riconosciuto un sapiente, aveva fatto il compitino.
Oggi questa domanda continua ad essere fatta a noi in mille modi diversi: sui giornali, su Facebook, nel talk-show, a scuola e sul lavoro, al bar... sempre meno nelle chiese, e questo ci mette in imbarazzo.
Gesù rispose al fariseo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22, 35-40).
La risposta non è contenuta in manuali di catechismo e tanto meno in norme e codicilli, ma solo e soltanto nell'amore di Dio che si invera nell'amore del prossimo e nell'amore del prossimo che diventa offerta, sacrificio, lode per la celebrazione dell' amore di Dio. Incarnare senza misura la passione di Dio con le "vedove, gli orfani e gli stranieri" del nostro tempo, con l'altro, a noi prossimo o lontano, con chi non crede o con chi crede a fatica e fra mille dubbi - dirlo e farlo - questa era, è e per sempre sarà missione. Sarà il contenuto dell'evangelizzazione globale di cui il Papa parla nel suo tradizionale messaggio per la Giornata missionaria mondiale che, appunto oggi celebriamo e che potete leggere cliccando il seguente link:
Messaggio Giornata Missionaria Mondiale

lunedì 17 ottobre 2011

La "Virgen balaceada"

A seguito della continua tensione politica fra i due partiti dominanti, conservatore e liberale, e in modo particolare dopo l'uccisione del candidato liberale alla presidenza della Repubblica colombiana, Jorge Eliécer Gaitán, si scatenò nel paese sudamericano un periodo di forti scontri armati, che vanno sotto il nome de: La violencia. Per dieci anni, soldataglie al pago dei due partiti combatterono un'autentica guerra civile che coinvolse la popolazione e lasciò sul terreno più di duecento mila morti. Soprattutto la componente più massona del liberalismo si caratterizzò per un forte anti-clericalismo, in parte politicamente dovuto all'attaccamento della chiesa colombiana dell'epoca alle frange più conservatrici della politica e dell'economia.
La chiesa parrocchiale di Jambalò (Cauca)
Un giorno, una soldataglia liberale si avvicinò all'abitato di Jambalò (Cauca), si fermò nella vereda o frazione de La Mina, dove, appunto si trovava una miniera di oro oggi esaurita. Dopo aver eliminato qualche persona si diressero verso la cappella della frazione e, come azione di spregio, presero la statuetta della Madonna che lì si venerava, la buttarono per terra sulla strada davanti alla chiesetta, la presero a calci e le spararono una serie di pistolettate, lasciandola nella polvere, mezza distrutta.
La gente della frazione, la prese e qualcuno pietosamente iniziò a ripararla. Oggi si trova nella stessa cappella, con i segni delle ferite ancora visibili. È la "Virgen balaceada", la Madonna presa a revolverate.. mostra i suoi segni alla gente del Cauca, sovente esposta allo stesso trattamento violento, minacciata e maltrattata dall'esercito, dalla guerriglia, da chi si arroga il diritto di discutere con le armi invece che con la forza della parola. È vittima della guerra, vera Regina della pace.



  

domenica 16 ottobre 2011

La Vergine di Via Labicana

La madonnina sbattuta per terra e presa a calci in via Labicana , a Roma, durante la manifestazione di sabato 15 ottobre ha fatto giustamente e per fortuna il giro del mondo. In poche sequenze sono state rappresentate in
maniera indelebile e con straordinaria forza di impatto

  1. il vuoto assoluto nel cervello  di chi si è sentito in dovere di compiere un gesto del genere, stupido, volgare nella sua brutalità, e blasfemo.
  2. l'indignazione di chi, intorno, ha reagito inseguendo l'energumeno.
  3. l'assoluta fragilità dell'immagine mariana, prima buttata a terra con spregio, poi presa a calci fino ad essere sbriciolata ed infine abbandonata sul selciato, prima di essere depositata al lato della strada, a guardare tristemente un corteo che non doveva più essere.

Ancora una volta, Maria, madre dei dolori, ha condiviso la sorte di chi, anche nella giornata di ieri ha soltanto
preso delle botte, materiali e morali. Era lì per dire, lei, icona della chiesa, che il volto insanguinato di una ragazza, più volte ripreso dalle telecamere, era un po' come il suo volto scalciato.
Si è messa da parte, ad un lato della strada, di fianco alle macchine distrutte, rigate, sfondate dallo Tsunami di deficienza. Maria rotta, come le intenzioni e le speranze di centinaia di migliaia di persone che protestavano pacificamente. Maria scalciata come vengono ogni giorno presi a pedate giovani precari che non riescono ad arrivare neppure alle briciole della torta che da altre parti viene spartita. Maria, ancora una volta nella polvere, conservavi la tua aria buona, piena di misericordia e di pietà.

Etica "de' noantri" spiegata ai tedeschi

Qualche giorno fa camminavo con un confratello nei dintorni della Stazione San Pietro quando con balzo leonino, da dietro un furgone, si sono materializzate due figure armate di microfono e cinepresa. Si trattava di una bella giornalista, che giustificava il balzo leonino con una gran criniera nero pece, e del di lei cameramen al seguito, ineidentificabile a causa della macchinaa da presa a coprire il volto.
The "Lion Queen", si è prontamente qualificata come giornalista della Televisione tedesca e, occhio artificiale puntato ad altezza uomo, con la naturalezza di un'amica che si informa su come ti sei nutrito a colazione quella mattina, mi chiede ragguaglio sui sentimenti da me provati nell'apprendere il declassamento dell'Italia da parte dell'agenzia Standard's and Poor. Non credo che alla televisione tedesca, di qualunque rete si fosse trattato (ne devono avere più di una anche loro) si ricordino ancora di quell'intervista. Francamente avrei fatto meglio a rispondere: "Scusate, è successo tutto così in fretta che non ho avuto ancora tempo di farmene realmente un'idea..." Sarebbe stata una risposta plausibile, ancorché onesta. Avevo ascoltato la notizia, ma così su due piedi, rispondere all'imboscata tedesca ... Invece no. Credo che dentro di me - l'ho sperimentato più volte - si annidi un bizzarro spirito dell'improvvisazione che, alla faccia  di ogni richiamo alla prudenza, mi fa parlare, esponendomi a volte a figure non propriamente gloriose. Ho iniziato così una filippica sul bisogno di eticità del paese, come se la causa di una crisi economica endemica come quella in cui siamo immersi dipendesse soltanto dal gusto tutto italiano della trasgressione e dell'inciucio. Grazie a Dio il passaggio di un altro fagiano da intervistare più pennuto di me (in TV, prete in tonaca batte prete in borghese) mi ha liberato da quella scomoda posizione e andare via.
Ultimamente sono tornato più volte sull'episodio, ripensando a quanto detto e al fatto che, senza pensarci, la prima e l'unica risposta di un cittadino medio come è il sottoscritto è stata quella di un richiamo ad una moralità più profonda. La gente, oggi,  ha bisogno di credere in qualcosa di solido. Il vero non ha bisogno del giusto per esssere tale, ma, santo cielo, appare davvero molto più facile da inghiottirsi quando è rappresentato o raccontato in un certo modo. Oggi l'Italia è un "bel paese" che vive una situazione difficile e brutta, davvero brutta. Qualcuno l'ha recentemente (e visto il pulpito, direi anche "autorevolmente" - il virgolettato è d'obbligo) definito un paese di merda, ma, dobbiamo convincercene, il problema non tocca soltanto lui (anche se davvero non si nega nulla, per carità). Oggi siamo in crisi perché un intero sistema è andato in cocci; non riceviamo credibilità perché non siamo più credibili a noi stessi. Molti sostengono che in un paese normale, il governo sarebbe già caduto di fronte a una situazione del genere. Vero, ma qualcuno, forse, avrebbe raccolto un'eredità politico ed imposto una dignità morale. Oggi, quando la gente come me dice che la crisi è una crisi etica, è perché sogna di poter vivere in un paese che sia magari più povero, ma dove certe attenzioni al bene comune costruiscono speranza e non invalicabili muri di delusione e disincanto.
C'è di che riflettere, sicuramente, anche a livello di chiesa. La domanda etica tocca anche noi, tentati di diventare profeti del colletto inamidato piuttosto che umili sguatteri del Vangelo con il grembiule cinto, pronti a lavare piedi e anime: le anime nostre e i piedi degli altri.