
Qualche giorno fa camminavo con un confratello nei dintorni della Stazione San Pietro quando con balzo leonino, da dietro un furgone, si sono materializzate due figure armate di microfono e cinepresa. Si trattava di una bella giornalista, che giustificava il balzo leonino con una gran criniera nero pece, e del di lei cameramen al seguito, ineidentificabile a causa della macchinaa da presa a coprire il volto.
The "Lion Queen", si è prontamente qualificata come giornalista della Televisione tedesca e, occhio artificiale puntato ad altezza uomo, con la naturalezza di un'amica che si informa su come ti sei nutrito a colazione quella mattina, mi chiede ragguaglio sui sentimenti da me provati nell'apprendere il declassamento dell'Italia da parte dell'agenzia
Standard's and Poor. Non credo che alla televisione tedesca, di qualunque rete si fosse trattato (ne devono avere più di una anche loro) si ricordino ancora di quell'intervista. Francamente avrei fatto meglio a rispondere: "Scusate, è successo tutto così in fretta che non ho avuto ancora tempo di farmene realmente un'idea..." Sarebbe stata una risposta plausibile, ancorché onesta. Avevo ascoltato la notizia, ma così su due piedi, rispondere all'imboscata tedesca ... Invece no. Credo che dentro di me - l'ho sperimentato più volte - si annidi un bizzarro spirito dell'improvvisazione che, alla faccia di ogni richiamo alla prudenza, mi fa parlare, esponendomi a volte a figure non propriamente gloriose. Ho iniziato così una filippica sul bisogno di eticità del paese, come se la causa di una crisi economica endemica come quella in cui siamo immersi dipendesse soltanto dal gusto tutto italiano della trasgressione e dell'inciucio. Grazie a Dio il passaggio di un altro fagiano da intervistare più pennuto di me (in TV, prete in tonaca batte prete in borghese) mi ha liberato da quella scomoda posizione e andare via.

Ultimamente sono tornato più volte sull'episodio, ripensando a quanto detto e al fatto che, senza pensarci, la prima e l'unica risposta di un cittadino medio come è il sottoscritto è stata quella di un richiamo ad una moralità più profonda. La gente, oggi, ha bisogno di credere in qualcosa di solido. Il vero non ha bisogno del giusto per esssere tale, ma, santo cielo, appare davvero molto più facile da inghiottirsi quando è rappresentato o raccontato in un certo modo. Oggi l'Italia è un "bel paese" che vive una situazione difficile e brutta, davvero brutta. Qualcuno l'ha recentemente (e visto il pulpito, direi anche "autorevolmente" - il virgolettato è d'obbligo) definito un paese di merda, ma, dobbiamo convincercene, il problema non tocca soltanto lui (anche se davvero non si nega nulla, per carità). Oggi siamo in crisi perché un intero sistema è andato in cocci; non riceviamo credibilità perché non siamo più credibili a noi stessi. Molti sostengono che in un paese normale, il governo sarebbe già caduto di fronte a una situazione del genere. Vero, ma qualcuno, forse, avrebbe raccolto un'eredità politico ed imposto una dignità morale. Oggi, quando la gente come me dice che la crisi è una crisi etica, è perché sogna di poter vivere in un paese che sia magari più povero, ma dove certe attenzioni al bene comune costruiscono speranza e non invalicabili muri di delusione e disincanto.
C'è di che riflettere, sicuramente, anche a livello di chiesa. La domanda etica tocca anche noi, tentati di diventare profeti del colletto inamidato piuttosto che umili sguatteri del Vangelo con il grembiule cinto, pronti a lavare piedi e anime: le anime nostre e i piedi degli altri.
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