Scegliere la mansuetudine come strada di
trasformazione: una pillola controcorrente
Parrebbe una metafora della
nostra vita quotidiana, in cui il rumore è onnipresente: a volte
inconsapevolmente prodotto, altre volte ricercato con determinazione e un velo
di arroganza. Un leone ruggisce, non miagola, e una macchina da corsa deve fare
rumore se vuole essere considerata come tale. Oggi il nostro quotidiano è
popolato da ruggiti continui. Si ruggisce in politica con la stessa foga che
una volta era riservata alle discussioni da bar del lunedì mattina. Si ruggisce
nei talk show televisivi, dove si fa a gara a chi gonfia di più le vene del
collo, a chi punta il dito più vicino alla faccia, a chi la spara più grossa, e
sovente più grassa. La misura è diventata virtù rara, bisogna esagerare, pur di
battere, annichilire l’avversario. La pretesa di aver ragione e di imporre
questa convinzione con la forza ci porta ad essere molto più irascibili di una
volta, agli incroci come in famiglia, a scuola come sul lavoro.
Chi urla non è consapevole
della forza delle proprie opinioni e deve imporle con un surplus di rumore, proprio come quei ragazzi che truccano la
marmitta del loro motorino per farlo rimbombare nemmeno avessero uno Space
Shuttle da dominare con il manubrio. Va da sé che chi deve ricorrere agli
effetti speciali per far valere le proprie ragioni è naturalmente più portato
ad esagerare, a far diventare il dialogo una pura e semplice serie di
monologhi, a trasformare il conflitto in una battaglia (che si spera resti
nella sfera del verbale e non trascenda nel fisico; anche se si sa bene che “da
cosa nasce cosa”…). “Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su
cento – scrive Sun Tzu, nel suo celebre saggio L’Arte della guerra – ma bensì sottometterlo senza combattere”. Nonostante la reverenda età (è stato scritto
circa 2.500 anni fa) il testo di Sun Tzu continua ad attrarre frotte di
ammiratori, soprattutto per le applicazioni che ne vengono date nel campo del
management. Tuttavia, la gara a chi urla più forte e a chi mena più duro sembra
confermarsi come consolidata prassi e avere molto più appeal nella vita di
tutti i giorni.
È certo che la tradizione
spirituale dell’Oriente, in particolare attraverso il taoismo (ai cui principi
si ispira L’Arte della guerra), ha
sviluppato tutta una serie di insegnamenti che tengono in grande considerazione
la possibilità di un’altra via, fondata su concetti completamenti diversi:
piccolo, calmo, silenzioso e sulle apparenti contraddizioni del tipo: ciò che è
morbido vince ciò che è duro, ciò che è debole trionfa su ciò che è forte.
Strano a dirsi, eppure le arti marziali si fondano proprio su questi concetti
ed è certamente meglio non contraddire al riguardo una cintura nera con
all'attivo un certo numero di dan.
Non dobbiamo però guardare
troppo lontano per vedere ribaditi concetti analoghi; dobbiamo bensì aguzzare
lo sguardo e cercare con attenzione, perché ciò che stiamo cercando non si
manifesta nel rumore, nella gazzarra, nella luce accecante del glamour. Il mite
va scovato negli anfratti anonimi e silenziosi del quotidiano; lo troveremo
impegnato a dare la sua personale interpretazione di “un mondo diverso”, a
dirci con la sua propria vita che guidare la propria esistenza per altri
cammini, non solo è possibile, ma pure gratificante.
Giuseppe Allamano fu certamente
una persona di questo tipo, e la “pillola” che ci suggerisce di prendere questo
mese ha origine nella sua disposizione d’animo, nello stile con cui scelse di
vivere la propria vita: “Scegliete la mansuetudine come strada di
trasformazione”. Anche se possiamo cogliere fra di loro una leggera differenza
di significato, mitezza e mansuetudine possono essere utilizzati come sinonimi,
di certo nel pensiero del Fondatore questo si verifica.

Per Giuseppe Allamano questa sottile
distinzione non esiste, al punto che usa i due determini indifferentemente. Per
lui, il discepolo/missionario deve essere mansueto, come lo è la pecora con il
pastore, ma deve vivere la sua mansuetudine al servizio attivo del prossimo, in
particolare di colui che più necessita di essere consolato. L’esempio da
seguire non può essere che quello di Cristo, uomo mite per eccellenza. È Gesù
stesso a parlare di sé come di una persona mite: “Venite a me voi tutti,
affaticati e oppressi (…) perché sono mite e umile di cuore (Mt 11,29). La
mitezza deve quindi diventare caratteristica anche per il discepolo di Cristo
che in virtù di ciò viene chiamato beato e fatto erede della terra.
Nella mitezza di Cristo sono
condensati i due pilastri teologici della Buona Novella: il Padre e il Regno; i
due elementi vanno insieme e costituiscono le basi anche per l’annuncio
cristiano di oggi: l’essere “ammansito” da Dio non rende la persona buona per
sé, ma la rende buona “per gli altri”, esattamente come, da laico, suggeriva
Norberto Bobbio. L’uomo mansueto, o mite, è dunque tutto il contrario di come a
volte può essere considerato; ovvero, come una persona passiva, succube,
indolente timida, indecisa, “senza spina dorsale”, senza niente da dire, senza
energie, né risorse. Al contrario, il mite affida al lavoro silenzioso,
benevolente e perseverante tutto l’umano sforzo rivolto alla costruzione del
Regno. Il resto è una fiducia sconfinata nella Provvidenza di Dio.
Attraverso l’immagine della
mitezza, la pillola del mese ci dice che non serve affannarsi, tanto meno urlare
o litigare. Non serve neppure affermare con forza le proprie idee pensando che
siano le uniche capaci di cambiare le sorti del mondo. Pensiamo a quanto la
chiesa stessa abbia bisogno oggi di tornare a riflettere su questo valore, su
questa virtù morale capace di costruire veri percorsi di pace. Il nuovo papato
ci obbliga a guardarci dentro, a cambiare l’atteggiamento da maestro in quello
di discepolo e testimone. Avremo qualcosa da insegnare quando saremo capaci di
ascoltare di più, imparando da ciò che ascoltiamo; sapremo essere guide
illuminate, nel momento in cui saremo capaci di metterci al passo dell’umanità,
per comprenderne il ritmo di marcia.
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Giuseppe Allamano, uomo mite |
Ne “La Vita Spirituale”,
citando San Basilio, Giuseppe Allamano definisce, la mitezza come la più
importante virtù per chi ha a che fare con il prossimo. Come abbiamo già
sottolineato, sicuramente questa affermazione nasce dall'esperienza personale,
nel contatto con la gente maturato nei lunghi anni passati al Santuario della
Consolata, e diventa insegnamento anche per i missionari che si trovano in
Africa: “Mi sta a cuore la mansuetudine – sono le sue parole – (…) Quando si
tratta di salvare un’anima si pensi che una parola secca basta ad impedirne la
conversione, forse per sempre. Esaminiamo dunque noi stessi per vedere se
abbiamo questa mansuetudine, se l’abbiamo sempre, se l’abbiamo con tutti (Cfr.
Giuseppe Allamano, VS, pp. 464-470).
Scegliendo la mitezza, come
Giuseppe Allamano ci insegna attraverso la sua stessa vita, i suoi missionari e
le sue missionarie sapranno imboccare la strada della trasformazione. Se un
giorno grazie a questa virtù saremo in grado di ereditare la terra, è altrettanto vero che il mondo che vogliamo possiamo iniziare a costruirlo poco per volta. Oggi
più che mai siamo alla ricerca di una nuova narrativa che racconti storie di
pace e benessere, perché è solo e soltanto su queste prerogative che vorremmo
costruire la nostra esistenza di domani.
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