lunedì 23 dicembre 2013

Buon Natale 2013

Merry Christmas - Feliz Navidad - 메리 크리스마스 - Feliz Natal - Buon Natale - Wesołych Świąt

Manca soltanto la scritta in mongolo, per augurare a tutti "Buon Natale" nelle lingue dei paesi che fanno da scenario alla missione che mi è stata affidata; Google Translator non la fornisce e sono rimasto spiazzato. Urgerà farsene mandare traduzione da chi là lavora.
Non vi sentite esclusi, cari confratelli e consorelle che vivete e lavorate in Mongolia, perché a Natale penso e prego sempre per voi, così lontani, circondati dalle steppe fredde, intorno a un presepe vivente così come sin da piccolo ho imparato a immaginare: con tanta neve.
È invece diversa la piccola scena della natività che ravviva con il sapore del Natale la mia camera. I colori della pace fanno da sfondo alla Sacra Famiglia, i cui tratti indigeni latinoamericani mi riportano indietro nel tempo e danno a questi giorni un'ulteriore pennellata di nostalgia.
Sono anche i colori della gioia, quella stessa gioia che papa Francesco ci invita a riscoprire ed assaporare vivendo con fede la nostra esperienza cristiana. Che il Bimbo di Betlemme si incarni nel cuore di ciascuno di noi, facendoci riscoprire la gioia semplice e genuina delle piccole cose, di una parola gentile, di un gesto affettuoso, di un istante di tenerezza.
Buon Natale

venerdì 12 luglio 2013

Aspettando Soulik

In una delle lingue della Micronesia il termine "Soulik" definisce il capo, il leader. Nome appropriato per il tifone che si sta avvicinando alle coste di Taiwan. Non ho mai vissuto l'esperienza di un tifone e sono contento di poterlo fare al riparo dagli eccessi delle intemperie, insieme a una rassicurante compagnia di missionari che già hanno vissuto esperienze simili.
Soulik è forte, continua a ripeterlo la radio locale ed insistono nel farlo vedere i diagrammi delle previsioni del tempo televisive. I prezzi salgono, soprattutto quelli della verdura, prodotto deperibile di cui domani, dopo che Soulik sarà passato, si sentirà la mancanza. Pare che il vento soffierà a 200 chilometri all'ora e ci saranno piogge torrenziali in grado di fare danni. Non a Tapei, forse, dove da tempo ci si sta preparando pulendo fogne, tombini e canali. La popolazione ha imparato a sopravvivere a questa realtà dei tifoni, che colpiscono l'isola con frequenza, anche se, per fortuna, con diversa intensità.
Ieri il tempo è stato splendido: l'aria pulita, un sole caldissimo, il cielo di un azzurro accecante. Mi spiegavano che il tifone fa così: si prepara il terreno prima di scaricare il suo oceano di pioggia.
Penso con una certa apprensione a chi può non trovare un riparo adeguato, alle emergenze che questa situazione potrà provocare... Prego il Signore che Soulik se ne vada da vero leader, incutendo rispetto e risparmiando i deboli. Domani mattina a Taipei sarà già tutto finito, ma il tifone esaurirà la sua corsa soltanto sulle coste della Cina, già piegata in questi giorni dalla rterribile situazione di maltempo che ha colpito la regione del Sichuan. Staranno anche loro attendendo Soulik, con la segreta speranza che passi come un leggero soffio di vento.

lunedì 1 luglio 2013

Un ricordo che sbiadisce

Martedì scorso, 25 giugno, si è celebrato il 63° anniversario dell'inizio della guerra di Corea, data resa particolarmente significativa quest'anno, in quanto segue di poche settimane il difficile periodo fatto di provocazioni e minacce di ritorsione vicendevolmente fra il Governo di Pyongyang, gli Stati Uniti, Seoul e i loro alleati nella zona Asia Pacifico. All'evento è stata ovviamente data un'abbondante copertura mediatica, con articoli di approfondimento ed editoriali molto interessanti. Tra i vari articoli ne sottolineo due, pubblicati entrambi dal The Korea Herald, il principale quotidiano sudcoreano in lingua inglese.
Il primo, intitolato “Not forgotten” (non dimenticati), risale all'edizione del fine settimana precedente e  riportava la testimonianza di un ex prigioniero di guerra sud coreano, catturato nei giorni immediatamente precedenti la fine del conflitto e deportato in Corea del Nord dove è rimasto per decine di anni a lavorare forzatamente nelle miniere. Soltanto dopo un lungo periodo e tra mille peripezie è riuscito a ritornare al Sud e a ricongiungersi con ciò che restava della famiglia e degli amici di un tempo. Il racconto rivela un quadro impressionante ed ancora molto vivo di un paese diviso con il righello e senza misericordia dopo quello che è stato il più sanguinoso conflitto combattuto negli anni della "guerra fredda". Tre cose colpiscono di quell'articolo: la prima è la quantità delle persone coinvolte; un rapporto delle Nazioni Unite stima intorno alle 82 mila unità i soldati sudcoreani dispersi in azione di guerra, di cui molti si presume siano rimasti prigionieri di Pyongyang. Soltanto poco più di 8 mila sarebbero coloro che sono stati restitutiti dalla Corea del Nord e hanno potuto fare ritorno al Sud. Secondo, l'incapacità della diplomazia di liberare queste persone che, di fatto, si sono costruite loro malgrado una nuova esistenza sotto il regime nordcoreano. Infine, l'impatto di questi reduci una volta liberati, con una patria completamente cambiata e che era stata loro descritta come un inferno in terra dalla propaganda del regime. Lo shock emotivo e culturale di chi riesce ad attraversare la frontiera e raggiungere Seoul è un qualcosa di veramente impressionante, che richiede un lungo periodo di accompagnamento psicologico.

giovedì 27 giugno 2013

Godersi Incheon

Un gigantesco aereoporto senza stress: il sogno di chi viaggia. Occupare al meglio il tempo di attesa, in un ambiente che possa contraddire almeno in parte l'attribuzione di "non-luogo" data dal sociologo francese Marc Augé. Incheon International Airport, l'aeroporto internazionale di Seoul, per sette anni consecutivi (2005-2012), è stato valutato il migliore aeroporto in tutto il mondo da Airports Council International. Wikipedia ne fa una descrizione che sembra un volantino pubblicitario: l'aeroporto dispone di un campo da golf, un centro benessere, camere da letto private, pista di pattinaggio, un casinò, giardini interni e un Museo della cultura coreana. E se si vuole un dato veramente più significativo: ci vogliono solo 16 minuti per la partenza e 12 minuti per il processo di arrivo, che è molto al di sopra degli standard globali di 60 e 45 minuti rispettivamente. Costruito su un isola artificiale, letteralmente rubando la terra al mare, oggi gestisce con una scioltezza a dir poco impressionante un traffico intensissimo che collega una buona fetta di East Asia al resto del mondo. Attendo con calma il mio volo MIAT (linee aeree mongole), che mi porterà a ancora una volta a visitare le nostre comunità di Ulaanbaatar e Arveiheer. Mongolia arrivo.

domenica 23 giugno 2013

Le mamme di PSY

Sono le 4 del mattino; il jet lag continua a farsi sentire e a mischiare con sistematicità i miei ritmi biologici e le mie abitudini. Ci vorranno ancora un paio di giorni per acquisire completamente i ritmi di qua: aspettiamo. La levataccia di stamattina mi permette di iniziare la giornata immerso nel silenzio del quartiere che dorme, anticipando i rumori del lunedì lavorativo che porterà molto presto i coreani a scuola, o sul luogo di lavoro. Soprattutto, mi godo il silenzio, nell'attesa dell'ormai consueto altoparlante che pomperà, leggermente prima delle sei del mattino, un po' di sana vecchia disco music nelle mie orecchie ancora intorpidite dal sonno. Sono le signore coreane che si danno appuntamento del giardinetto di Yeokgok-dong, il quartiere di Incheon (nella grande Seoul), dove attualemte mi trovo. Sono loro a prendere decisamente possesso dello spazio pubblico, attrezzato con giochi per bambini, strumenti per la ginnastica degli adulti, un mini percorso atletico e uno spazio per giocare a calcetto, basket e soprattutto badmington. In tarda mattinata diventa lo spazio adatto alla conversazione dei nonni, al pomeriggio diventa patria dei bambini che corrono tranquilli sul tartan imbottito, alla sera degli adolescenti che giocano, chiacchierano e, a volte e con molta discrezione, amoreggiano un po'.
Al mattino però lo spazio è loro: casalinghe disperate, impiegate, figlie, mamme, e anche qualche nonna ancora pimpante iniziano la giornata scaricando tensioni e un po' di grasso, dimendandosi come facessero parte del corpo di ballo di PSY... alle sei del mattino. Ricordo quando, a Washington, nel campus della Catholic University, incontravo un bel gruppo di studenti orientali di differente provenienza che iniziavano l'approccio al nuovo giorno con le delicate movenze del tai-chi-chuan. Ne contemplevo la bellezza dei movimenti, l'armoniosità del combattimento mimato di quest'arte marziale "leggera" trasformata in ginnastica dolce.
Anche in questi corpi sudanti, che con meno grazia cercano di seguire il ritmo veloce della musica, c'è però di che contemplare: la voglia di vincere lo stress di una vita dura, fatta sovente di fatiche domestiche e professionali. In Corea si lavora duro per conquistare un posto al sole e ci si sforza altrettanto duramente per mantenere quanto si è riusciti a raggiungere. Le scuole sono selettive, i luoghi di lavoro tempi del confucianesimo votato alla produzione e al trionfo della compagnia.Alcune statistiche recenti hanno evidenziato come un alto numero di giovani coreani soffra di disturbi causati dal superlavoro e dallo stress, senza contare i disastri provocati da un'alimentazione non corretta che, purtroppo, tende a sostituire l'altrimenti sana alimentazione tradizionale. Insieme a questi fenomeni di carattere generale, le donne devono fare i conti con il maschilismo non proprio strisciante che pervade la vita familiare e sociale della Corea, che vanta oggi una Presidente della Repubblica donna (Park Geun-hye), ma anche moltissime situazioni di discriminazione di genere.
... e allora avanti, manca un'ora alla prima ondata di musica mattutina, giusto il tempo di andarsi a prendere un caffè e aspettare ben sveglio l'inizio di questa nuova settimaana: it's Yeokgok style!

sabato 22 giugno 2013

Auguri Corea

25 anni non sono pochi: un quarto di secolo, un salto di generazione, un intervallo di tempo giubilare, in cui si disputano sei edizioni delle olimpiadi.
Oggi, un matrimonio che dura 25 anni va già considerato come traguardo significativo, mentre io sto ancora aspettando di celebrare le mie nozze d'argento con l'Istituto missionario a cui appartengo e a cui mi sembra d'appartenere da una vita.
La festa di oggi a Seoul, unita, posticipandola di qualche giorno, a quella della Consolata, è stata in realtà un grande grazie per questa fedeltà alla missione durata ben 25 anni.
Dal gennaio 1988 (i primi quattro missionari arrivarono nel pieno dell'inverno coreano) ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, sotto forma di volti, incontri, luoghi. La chiesa piena di gente, le parole fraterne del Vescovo di Incheon, Bonifacio, i tanti religiosi presenti sono la testimonianza di una presenza che ha avuto la sua traettoria e che rimane ben viva.
La casa per il dialogo interreligioso a Daejeong, la comunità orientata all'assistenza dei poveri e dei migranti di Tong-du-cheong-si sono figlie di questo primo contatto con il mondo asiatico dei missionari della Consolata e aprono la presenza missionaria della Consolata in Corea al futuro che l'attende, verso le nozze d'oro.

Senza scarpe

Uno dei riti coreani con cui il viaggiatore occidentale deve fare immediatamente i conti è quello delle scarpe. Non si entra in casa calzandole, ci si mette le pantofole. All'ingresso di ogni abitazione, ma anche, per esempio, di ristoranti, troneggiano i temibili armadietti scarpiera in cui lasciare le proprie calzature ed eventualmente munirsi di un paio di ciabatte. Nella propria camera, però, si lasciano fuori anche quelle: si entra a piedi nudi, o indossando le calze. La camera bisogna tenerla pulita, nullo di sporco vi entra attraverso le suole.
Il "mitico" armadietto

L'impatto per il visitatore, soprattutto se un po' distratto come il sottoscritto, non è dei più automatici; ci si dimentican sovente di togliersi le scarpe e, a volte, si fa un po' di resistenza. Innanzitutto, ad aprire il famoso armadietto, tesoriere di profumi orientali tra i più "speziati", ma anche perché tutto questo armeggiare intorno alle scarpe cozza con usi diversi come quelli a cui siamo abituati, in cui, al massimo, ci si mette le pantofole quando si rientra in casa, ma poi ci si ferma lì; guai, inoltre, far togliere le scarpe a un ospite. L'invitato può venire a cena carico di tutta la sozzura dei marciapiedi calpestati, ma mai e poi mai gli verranno fatte togliere le scarpe prima di accedere al salotto e sedersi a tavola. 
Questo per quanto riguarda le differenze culturali. Interessante, tuttavia, leggere questo rito come una metafora, della diversa sacralità dei luoghi, luoghi che sono anche territori dell'incontro con se stessi e con l'altro.
Ci sono spazi che vanno rispettati, dentro di me, come in chi mi è vicino. C'è uno spazio in cui io interagisco liberamente con ciò e chi mi circonda, ma vi sono spazi più intimi che meritano rispetto e cura differente: quello del mio focolare, del mio chiostro, e spazi ancora più privati, dove solo io posso accedere e camminare a piedi nudi. Questo vale anche per le relazioni con le altre persone, l'incontro con le quali ha diversi livelli di intimità e profondità, di attenzione e cura differenti. Dio solo sa quanto alto sia il rischio, in Asia, forse, più che altrove, di continuare a viaggiare im mezzo alla gente... e le scarpe non togliersele mai.

mercoledì 3 aprile 2013

Il senso di te


I racconti evangelici di questa settimana narrano invariabilmente tutti lo stesso fatto: la Resurrezione di Gesù. L'insistenza rivela l'importanza, la centralità che questo evento riveste nell'economia della storia della salvezza e questi racconti sono lì per aiutarci a scoprire il senso profondo della tomba vuota.
Dico senso, e non ragione, per evitare il pericolo di imboccare un cammino squisitamente razionale e per poter esplorare tutta la gamma di sensazioni, emozioni, percezioni di cui i racconti evangelici sono ricchissimi. Quelli della Resurrezione non fanno eccezione.
Gesù risorto appare, viene visto, intuito, parla, viene ascoltato e viene toccato, abbracciato. Essere testimoni di Gesù significa, innanzitutto, aver incontrato Gesù, avere fatto esperienza diretta, "fisica" della sua presenza.
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi (1GV 1, 1-3).
L'inizio dell prima lettera di Giovanni non lascia spazio ad equivoci e interpella noi missionari ad un serio esame di coscienza. L'annuncio si fonda su una testimonianza, altrimenti non è annuncio, ma conversazione da intrattenimento o, nella migliore delle ipotesi un reportage con uno spessore culturale più o meno pronunciato. Non annunziamo una dottrina, ma presentiamo una persona che abbiamo incontrato, conosciamo bene e di cui, davanti al mondo intero, possiamo garantire.
Davvero ci è così difficile rinverdire le occasioni in cui, nella nostra vita, possiamo aver incontrato il Risorto? In una pagina della Scrittura? Magari in un momento di particolare silenzio? Nella contemplazione di qualcosa di estremamente bello? O, forse, nelle parole o nei gesti di qualche persona che attraverso un gesto di bontà, perdono, misericordia... o anche dolore, ci ha rivelato il senso profondo di quanto in questi giorni celebriamo.

martedì 2 aprile 2013

Vatican fashion

Temo che non sarà così semplice per Papa Francesco imporre uno stile diverso al suo ministero e alla chiesa intera, privilegiando la spontaneità e la sobrietà a discapito del rigido formalismo del protocollo. I fanatici del Vatican style, rigorosamente firmato, stanno alla finestra e guardano attenti, limitandosi per ora a sparare qualche estemporanea bordata dai siti cattolici più tradizionalisti e integralisti.
Benedizioni approssimative, meno insistenza ossessiva sull'uso del latino, mozzetta e stola ornata nuovamente in solaio, croce di ferro invece di una "più dignitosa croce d'oro"... E che dire di quel chinarsi a lavare i piedi ai detenuti, fra cui due donne, una di esse musulmana... una discesa precipitosa verso il baratro del peggio. Avremo a che fare con un papa "piacione"?
Dicano quel che vogliono, verrebbe da dire: noi ci teniamo il nostro papa "casual", così vicino alla gente e così lontano da un'etichetta ormai datata e da molti non capita, così a suo agio in mezze a folle oceaniche che lascerebbero presagire una nuova primavera di fervore religioso. Allo stesso tempo, tutti noi, attratti da questo vento rinfrescante di un papa che torna nelle strade, a stringere mani e distribuire abbracci, non perdiamo l'occasione di riflettere con pazienza sul nostro cammino di fede, sulle sue esigenze, sul valore della testimonianza che ci viene richiesta. Sarà il nostro atteggiamento nei confronti della realtà, di Dio e degli altri a dare il vero frutto a questo rinnovato stile di pontificato e a dirci, nel futuro, se sarà stato un valido strumento di Nuova Evangelizzazione.

lunedì 1 aprile 2013

Papa Internazionale

La copertina di Internazionale

Ho notato con un certo piacere che nell'ultimo numero della rivista Internazionale svariati lettori se la sono presa per come, nel n. 992 del 22 marzo, è stata trattata l'elezione di Papa Francesco.
Non potendo probabilmente cavalcare l'onda della notizia di agenzia, Internazionale ha preferito concentrarsi su alcuni approfondimenti legati ai discussi legami dell'allora padre Bergoglio con esponenti della dittatura argentina (in particolare i generali Massera e Videla). Il taglio dato era quanto meno di parte e soprattutto stridente se si considera la pressoché totale assenza di analisi del fatto in sé, dell'elezione di un pontefice in generale e dell'Arcivescovo di Buenos Aires in particolare. Nulla vieta di pubblicare inchieste anche scomode, ma stupisce come l'evento non abbia meritato un giro leggermente più ampio di opinioni internazionali, con quella competenza e quella apertura che rende Internazionale una rivista davvero speciale e, nonostante tutto, da leggere sempre.

sabato 30 marzo 2013

Auguri Pasquali di Don Tonino Bello


Cari amici,
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall'anima, quasi dall'imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: "coraggio"!
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l'olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di "amare", non c'è morte che tenga, non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.

Don Tonino Bello

martedì 26 marzo 2013

Immagini della Semana Santa Sevillana

Un tour artistico-religioso per Sevilla, accompagnato dalle bellissime immagini sacre selezionate dall'amico Antonio Carmona: il volto sofferente del Cristo, le lacrime della Vergine, catturate dall'immaginazione e dalla devozione popolare.
Video Settimana Santa Sevillana

venerdì 15 febbraio 2013

Europa e la continentalità


Si è svolta a Roma dal 21 al 26 gennaio 2013, presso la Casa Generalizia dei Missionari della Consolata, l’Assemblea continentale europea. Momento di discernimento e condivisione proposto dal Capitolo Generale, l’Assemblea ha seguito di qualche mese la riunione del Consiglio Continentale, organo direttivo e orientativo di tutte le attività missionarie che si svolgono in Europa. Era stato proprio il Consiglio ad indire di fatto l’Assemblea e a stabilirne l’agenda con l’obiettivo, anch'esso rispondente a un mandato capitolare, di iniziare ad abbozzare quello che sarà il Progetto missionario continentale dell’Europa.
In particolare il Consiglio aveva chiesto di offrire un chiarimento sul significato di Continentalità alla luce della realtà europea, di individuare alcuni ambiti ad gentes prioritari in Europa oggi e di dare alcune luci in merito alla contestualizzazione del nostro carisma della formazione e dell’economia. Un tempo è anche stato dedicato alla redazione delle schede del Biennio, che contengono il lavoro previsto per le nostre comunità locali (cf. XIICG, 25 e Linee programmatiche della DG “Passiamo all'altra riva”).

La continentalità, questa sconosciuta?
In questa breve riflessione ci soffermeremo in particolare sul tema della Continentalità, scelta capitolare chiamata a diventare sempre di più, in Europa come altrove, parte del modo di intendere la missione del missionario della Consolata. È stato importante partire da questo punto, in quanto l’idea di continentalità non è ancora totalmente compresa e accettata, nonostante che nell'Istituto si parli ufficialmente di continentalità dal Capitolo Generale di Sagana del 1999. Sarebbe anzi interessante riprendere ancora una volta gli spunti offerti dalla riflessione IMC al riguardo, sottolineando anche il modo in cui, a volte con sfumature diverse, sono stati recepiti nei vari continenti.
Qui basti ricordare quanto l’ultimo Capitolo Generale ha sottolineato parlando di continentalità, riconfermando la scelta dello “spirito di continentalità” come  criterio fondamentale per qualificare e contestualizzare maggiormente la nostra missione (XI CG 95). L’Assemblea ha provato a definire cosa significa per noi in Europa la parola “continentalità”. Dare una definizione significa rivelare l’essenza, ciò che una realtà è in quanto tale, con gli elementi fondamentali che la caratterizzano.
Una definizione di continentalità
Il risultato di questa riflessione è raccolto nelle frasi seguenti, che sono il frutto del discernimento di tutti coloro che hanno preso parte all'incontro; si è detto che la continentalità:
  • è uno spirito, che esprime il comune desiderio di contestualizzare la nostra missione e il nostro carisma in Europa;
  • è un cammino
o   già in atto, graduale e costante, di qualificazione della nostra missione;
o   attraverso il quale ci inseriamo in un processo europeo più ampio che tocca la vita politica, sociale, economica, religiosa dei nostri paesi;
o   che ci stimola a diventare maggiormente segni di consolazione e sentinelle di universalità e globalità all'interno delle chiese e delle altre realtà locali in cui ci troviamo;
  • è lo strumento attraverso il quale possiamo immaginare e realizzare una missione più aperta, condivisa ed efficace, nella responsabilità e nella sussidiarietà in vista di una nuova organizzazione giuridica dell’Istituto.
Ogni affermazione non dovrebbe aver bisogno di nessuna spiegazione, ma merita due parole di commento.
Innanzitutto, la definizione, citando il Capitolo, ribadisce che la continentalità è uno spirito, un modo di vedere la realtà, una disposizione dell’animo aperta alla realtà del paese vicino, alla volontà di lavorare fianco a fianco su problemi comuni, aiutandosi vicendevolmente a capire il contesto e ad intervenire su di esso con strumenti adatti.
L’Assemblea ha anche ritenuto importante sottolineare la dinamicità del processo continentale definendolo un cammino. È convinzione condivisa che sarà solo percorrendo tale cammino che, come ci ricorda la famosa frase di Antonio Machado, il nostro procedere si potrà arricchire di nuove strade e di altrettante possibilità di migliorare la comprensione di questo fenomeno. Il cammino continentale è già presente; fa parte dell’esperienza dell’Istituto, ma si rende anche manifesti in molti tentativi di unità che coinvolgono la società civile e politica, il mondo del lavoro e, ambito ultimamente messo un po’ sotto esame, l’economia. Anzi, i partecipanti all’Assemblea hanno tenuto a precisare che, nel dare una definizione di continentalità, desideravano inserirsi in una scia del passato. Più volte hanno ripetuto che la continentalità non è un’invenzione del momento, ma il frutto di un desiderio sincero di essere segni più vividi di consolazione e attente sentinelle di universalità e globalità nelle realtà, ecclesiali e non, dove ci si trova a vivere la nostra missione.
Alcuni elementi imprescindibili
Detto questo, la speranza è che, iniziando a lavorare insieme, lo spirito diventi sempre di più anche uno strumento capace di dare alla nostra organizzazione continentale quei tratti, anche giuridici, che la renderebbero più leggera, più duttile, più rispondente al contesto e al tempo presente. Chiaramente, se non si parte, mai si arriverà ad una meta, qualunque essa possa essere.
L’Assemblea ha anche individuato alcuni aspetti ritenuti irrinunciabili per poter mettere in marcia un cammino continentale che non sia soltanto esercizio teorico, ma diventi strumento pratico di governo, di buon governo. L’aspetto più importante è senz'altro quello di arrivare quanto prima ad un Progetto missionario continentale, in modo da avere un punto di riferimento, un navigatore sempre acceso in grado di ricordare principi, discernere priorità e scegliere strumenti idonei. Fondamentale è anche il ruolo giocato dalla formazione continua e da una possibile attività concreta, condivisa a livello continentale.
Dall'Assemblea è emerso chiaramente che il conseguimento di questi aspetti basilari e dalla capacità di formare e coinvolgere i missionari in questo cammino dipenderà in buona parte l’esito positivo del cammino continentale iniziato e, di conseguenza, della nostra missione in Europa oggi.