lunedì 17 dicembre 2012

È nato, si dice


È festa persino in galera e dentro alle case di cura 
soltanto che dopo la festa la vita ritornerà dura 
ma oggi baciamo il nemico o quelli che passano accanto 
o l'asino dentro la greppia Natale il giorno più santo…

La Sacra Famiglia - Roma, Basilica di Santa Maria degli Angeli
Il 7 ottobre 2002, dieci anni fa, moriva Pierangelo Bertoli, esponente di un ricco panorama di cantautori che ha saputo tradurre in musica le speranze e le rabbie di un Italia in fermento davanti a una crisi generale che la svegliava dalle troppo facili illusioni del boom economico. Cantante schietto, “a muso duro”, proto ecologista globale con uno dei suoi testi più famosi, “Eppure soffia”, Bertoli ha dedicato al Natale una sua canzone:  “È nato, si dice”. Nascosto dietro ad un motivo orecchiabile, che richiama come in un gioco musicale la tradizionale “Astro del ciel”, il testo presenta una critica severa, se non addirittura feroce, a consumismo, chiesa e, in fondo, al buonismo impenitente che si nasconde in ognuno di noi.
Riascoltando Bertoli in vena di commemorazioni, mi chiedo come sarà questo Natale in tempo di crisi. Non è difficile prevedere trasmissioni e telegiornali in cui signore piene di pacchetti ci ripeteranno, uscendo da mercati e centri commerciali che sì, quest’anno è stato difficile soddisfare i desideri di tutti i nipoti e si è dovuto ridurre, tagliare… Babbo Natale porterebbe i doni, ma Monti porta via le speranze e allora bisogna adattarsi… ma adattarsi a cosa?
Oggi, per molte famiglie italiane il Natale non significa più ciò che dovrebbe invece significare. La poesia da Baci Perugina che sottostà a tanti messaggi e auguri “di stagione” (seasonal greetings, come recitano ormai molte politically correct Christmas cards) ha talmente mielato l’occorrenza da renderla una melassa di luci di vetrina, fiocchetti colorati e stress da ipermercato affollato. Resisteva un tempo il baluardo del pranzo di famiglia, a cui si doveva partecipare obbligatoriamente tutti, stroncato, quest’ultimo, non tanto dal caro vita quanto dal frammentarsi e moltiplicarsi dei nuclei familiari.
È nato, si dice; ma se Monti continuerà con la sua politica dei tagli, cosa resterà del nostro Natale? Non sarà che si proverà persino vergona a presentarsi sotto l’albero (anche il presepe è un po’ demodè) a mani vuote o soltanto mezze piene? Meriterà ancora celebrarlo un Natale da poveretti? Non sarà che dovremo persino ritornare ad andare a Messa di mezzanotte per scoprire un altro pezzo di poesia ormai perduta?

La riscoperta del Natale
Eppure, verrebbe da chiedersi: se il Natale in tempo di crisi corre il rischio di essere un Natale sottotono, come lo avrà celebrato finora la maggior parte delle persone nate e vissute (poco e male) in parti del mondo meno privilegiate delle nostre? Oggi, abbiamo tra le mani una possibilità: quella di rivalutare il nostro Natale, di ripresentarlo per quello che veramente è: un’azione di grazia del Dio amore, di un Padre che tanto ha amato il mondo da dare il suo unico Figlio per la salvezza di tutti, che non ha rinunciato alle sue prerogative divine, ma si è fatto come noi, fango nel fango, per poterci tirare fuori dalla melma del peccato, della fragilità, della paura e restituirci il vestito buono della dignità.
Natale è la festa del poco, di ciò che è piccolo, un evento rappresentato, come in un gioco di parole, dalla stalla e dalla stella di Betlemme: un luogo di miseria in cui trova posto Dio che nasce. E se oggi il poco sembra pervadere la nostra vita come mai prima, ecco che il NataIe è anche la festa nostra, che può toccarci nell’intimo, nel profondo, e se davvero lo fa ci può cambiare per sempre.  I racconti della natività, sono estremamente duri e parlano di uno scenario di oppressione in cui si muovono i personaggi della storia più famosa e più amata; una storia dentro ai cui contorni sono racchiuse le esperienze di tutti, di sempre. Non per nulla, nel concepire a Greccio il primo presepe, San Francesco intendeva rappresentare l’istante iniziale della vita di Cristo per sentirne sensibilmente, sulla propria pelle, l’esperienza del nascere, e del farlo in quel contesto di povertà assoluta. La “Vita prima del Santo” di Tommaso da Celano (cap. XXX), mette nella bocca di Francesco “(…) vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».

Affliggere i consolati
La Chiesa, oggi, ha un’opportunità d’oro: quella di approfittare del Natale per 1) rileggere la crisi che stiamo vivendo in un’ottica di fede e di provvidenza; 2) dare spessore e consistenza alla vocazione evangelizzatrice che oggi le viene chiesto  a gran voce di confermare.
Il bambino di Betlemme diventa un richiamo ai nostri stili di vita, un segno ed esempio di conversione profonda da tutto ciò che ci rende lenti, fisicamente e mentalmente obesi, rigorosamente chiusi su noi stessi, sui nostri bisogni e la soddisfazione degli stessi. Guai se la crisi attuale acuisse ulteriormente una tendenza da cui purtroppo ci dobbiamo sempre difendere, una tendenza allegoismo capace, a breve termine, di logorare i rapporti personali e sociali in nome del vantaggio personale.
Al contrario, le scienze moderne  definiscono il momento critico come il punto in cui un organismo (anche sociale) malato si dirige verso la sua guarigione o si avvia gradualmente verso la morte.  La fede accetta questa interpretazione di crisi fino al momento in cui quest’ultima si scontra con il paradosso che fonda il cristianesimo stesso: la “guarigione” , cioè, passa attraverso un percorso di morte e rinascita che segna tutta la vita battesimale del credente.  I racconti del Natale privi dell’ispirazione pasquale attraverso cui sono stati scritti diventano favole per bambini, importanti in un tempo della nostra vita, ma poi abbandonate come inutili.
La crisi marca quindi un turning point, un “o la va o la spacca” che rappresenta contemporaneamente un invito alla conversione e un appello alla missione. Il cambio interiore che il Natale ci impone non vuole cancellare l’impegno ad eliminare le strutture ingiuste, che fanno sì che a pagare oggi gli effetti della crisi siano coloro che hanno meno; Anzi,  l’impegno, a spendersi nella vita politico-sociale in cui ci troviamo diventa una conseguenza di un’opzione radicale in cui ci si affida nuovamente a Dio e alla sua azione nella storia. Dio nasce povero per liberare i poveri. Nasce migrante, per viaggiare sugli impervi cammini della migrazione di oggi, sentieri che sovente incrociano le rotte di chi sfrutta, schiavizza. Anche nel suo “farsi” uomo, Cristo è icona del Padre, amore misericordioso per l’umanità da redimere. L’incarnazione è quindi annuncio, testimonianza.
Se fossimo capaci anche noi di tradurre il bene che vorremmo, la pace che sogniamo, l’amore che agogniamo in azioni altrettante azioni concrete, faremmo del Natale una cosa diversa, piena di senso nonostante la crisi… nonostante tutto, non il momento in cui dobbiamo essere buoni, ma la celebrazione della nostra opzione di vivere la vita in modo buono. Usando una frase di Don Tonino Bello, il 25 dicembre non deve essere il giorno in cui, magari per rigurgito di buonismo, si decide di allargare il proprio cuore per consolare un afflitto, ma deve essere piuttosto il momento in cui la Parola di Dio, facendosi carne, “affligge i consolati” (e noi tra loro) dando alla loro vita rinnovato slancio per una missione di annuncio e testimonianza. Un Natale così avrebbe potuto dare ben altro titolo alla canzone di Bertoli, non “È nato, si dice”, ma piuttosto “È nato… e si vede!”.

lunedì 10 dicembre 2012

Nato da donna


Nato da donna, nato sotto la legge: non riusciremo mai a penetrare il mistero così profondo di un Dio che, per essere veramente Dio, sceglie di incarnarsi, di condividere nella maniera più piena e più intima la nostra umanità.
Studiamo, leggiamo, preghiamo, ci fermiamo in meditazione orante davanti alla grotta, ma all’atto pratico, quando ci troviamo immersi nel nostro presepe quotidiano, quello di cui noi stessi siamo le statuette, facciamo fatica a cogliere ed abbracciare l’immensa grazia nel piccolo segno che ci viene dato.
Ce ne rendiamo conto quando riceviamo la confessione o la confidenza d’Avvento di qualche persona che si anima a venirci a parlare. Oppure, quando ci guardiamo allo specchio e pensiamo alla difficoltà che noi stessi incontriamo (ed è molto umano farlo) quando ci raffrontiamo al Natale e al suo mistero, alla sua anima provvidente, segno di un Dio che pianta i picchetti della tenda in mezzo al suo popolo per condividerne gioie e dolori, speranze, ansie, preoccupazioni e pericoli. Le mie gioie, le mie preoccupazioni…
Nello spirito del Magnificat il Natale è un’Inno alla speranza in Colui che dà voce e potere ai piccoli, anche se spesso ce ne dimentichiamo oppure non riusciamo a comunicarlo a chi, per varie circostanze, sente e vive il Natale come un tempo triste, di maggiore sofferenza e solitudine.
Oggi non stiamo affrontando dei tempi facili. Abbiamo un numero sufficiente di ragioni per mostrare pessimismo di fronte alle difficoltà che stiamo vivendo in questa nostra società. Siamo parte di un continente che non è certamente vergine  in fatto di crisi socio-economiche, ma questa ci tocca direttamente, ci interpella… ad alcuni mette paura. Oggi si sta generando in Europa un’immensa sacca di nuovi poveri, persone che fino a poco tempo fa trovavano naturale e soprattutto e non impossibile onorare il mutuo che avevano contratto, che non facevano fatica ad arrivare alla fine del mese e che magari, oggi, devono iniziare a tendere la mano.
Gesù, quest anno, viene ad abitare i presepi di Europa e si incarna in mezzo a gente che si ritrova ad affrontare lo spettro di una povertà non scelta, ma imposta dalle circostanze, causata da una società esageratamente competitiva ed esclusivista, che relega al margine della strada tutti coloro che hanno meno opzioni, meno formazione, meno possibilità. La  Spagna oggi ha più di quattro milioni di disoccupati, quasi il 10 per cento della sua popolazione. Il Portogallo vive una recessione tra le più nere della sua storia moderna e noi italiani... continuiamo a sperare che i tagli provocati dalle varie manovre si cicatrizzino in fretta.
Questa è l’Europa in cui Gesù nasce e che noi, come missionari/e, siamo chiamati oggi a rivitalizzare. Siamo noi i primi a dover credere che il germoglio spunterà nonostante la secchezza del legno, che dobbiamo continuare a parlare di Dio fino allo sfinimento a questo mondo che tende a dimenticarselo troppo facilmente. Ce lo dice Gesù stesso nei racconti del Natale: povero tra i poveri, migrante tra i migranti, rifugiato tra i rifugiati. Da lui viene il riscatto nel segno della contraddizione più scioccante e, allo stesso tempo, della novità.
Una delle regole del presepe napoletano classico è quella di “aggiornarsi”. Ogni anno la scena di Betlemme si arricchisce di un elemento nuovo, a significare la perenne novità del Natale nel contesto di chi la osserva. Quale statuina aggiungere questa notte nei nostri presepi per farci sentire la presenza rinnovatrice dell’Emmanuele, il Dio-con-noi che, a fronte di quanto stiamo oggi vivendo, ci richiama a vivere in maniera, rinnovata e coerente la nostra azione missionaria?

lunedì 22 ottobre 2012

E ci camminerà accanto

Anima mia, canta e cammina. E anche tu, o fedele di chissà quale fede; oppure tu, uomo di nessuna fede: camminiamo insieme. E l'arida valle si metterà a fiorire. Qualcuno - colui che tutti cerchiamo - ci camminerà accanto.
David Maria Turoldo

Nel tentativo di spiegare a chi ci ascolta la missione in tutti i suoi dettagli corriamo il rischio di perdere l'essenza della stessa, il fatto che essa sia innanzitutto il racconto di un'esperienza. Ben ce lo ricorda questo verso di padre Turoldo, richiamando il missionario al camminare, a fare dell'itineranza la ragione della sua vita. La Storia della salvezza, tanto nell'Antico (Abramo, Mosè e il cammino dell'Esodo, la lunga marcia del profeta Elia, ecc.) quanto nel Nuovo Testamento è storia di un lungo camminare. Basti pensare alla vita di Gesù, raccontata come un incedere continuo verso Gerusalemme, alla mobilità di Maria, ai viaggi di Paolo, missionario inarrestabile.
La missione può talvolta richiedere stanzialità geografica, ma non permette, se vuole continuare a definirsi tale, nessun arresto che non sia logistico e funzionale alla missione stessa e all'annuncio che la impreziosisce e la rende ciò che deve essere. La dinamicità si esprime in questo caso con lo zelo e la passione per ciò che si fa, con l'inquietudine per la salvezza propria e del prossimo, con la curiosità per la differenza che vince la tentazione dell'appiattimento e smuove a percorrere altri cammini, e a farlo insieme a coloro che come noi, da altri punti di partenza, sono alla ricerca di un qualcosa... o di un Qualcuno.
Il trovarselo accanto, così come accadde ai due discepoli sulla strada di Emmaus, sarà sorprendente, darà nuovo colore ai nostri orizzonti e più entusiasmo al nostro camminare.
Ieri abbiamo celebrato la Giornata missionaria mondiale, un invito a camminare, senza contare i passi, ma lasciandosi trascinare dal canto melodioso del pellegrino.

domenica 21 ottobre 2012

Evangelizzare con la vita

In occasione della Giornata missionaria mondiale, ecco una pagina del Cardinal Martini, ripresentatami oggi via e-mail dall'amico Giovanni Varini, ricco di letture e di una spiritualità viva e curiosa. Lo ringrazio.


COMUNICARE IL VANGELO
La comunicazione del vangelo non si attua soltanto nel dialogo esplicito. C’è un immenso campo di azione che compete particolarmente ai credenti laici e che riguarda l’affermazione, il sostegno e la promozione dei valori profondi che sono previ a qualunque confessionalità e comuni a tutti gli uomini. Tutto ciò che ha attinenza alla coscienza, alla responsabilità, alla giustizia, alla pace, alla salvaguardia dell’ambiente, fa parte di un linguaggio a tutti accessibile, che ha le sue radici nell’opera creatrice e redentrice del Signore. Il modo di comportarsi e di interagire nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali, negli affari e nella politica, in quei mille contatti quotidiani che si vivono in famiglia, nei luoghi di lavoro e nel tempo libero, dovunque siano in questione anche modeste e semplici scelte morali ( come quella di dare una risposta gentile o un’informazione corretta) può irradiare tali valori a misura dell’intensità con cui sono vissuti, o negarli, o aggredirli. Quanto più la comunità cristiana e il singolo fedele saranno in grado di esibire scelte e stili di vita coerenti con il Vangelo, pur senza sottolinearlo esplicitamente, si eserciterà una forza aggregante e persuasiva sull’insieme dei comportamenti umani per la ricostruzione di una comunione sui grandi temi etici che hanno le loro radici nella rivelazione di Dio.

da C.M. Martini, 365 lampi d’eternità, Elledici Editrice 2003

Consolata.org cambia casa


Carissimi amici e confratelli, internauti missionari,
 come avrete senza dubbio notato ciccando sul solito link: consolata.org, la home page del nostro sito è cambiata.  Vista il sito nella sua nuova versione In meglio? In peggio? Toccherà a tutti noi stabilirlo, man mano che lo frequenteremo, per lavoro o per diletto. Dopo un po’ di anni di onorato servizio abbiamo però pensato che il vecchio template dovesse andare in pensione per essere sostituito da un modello più agile, dinamico e, speriamo, pratico da usare.
Sicuramente, mettiamo già da subito le mani avanti, avremo bisogno di un periodo di prova per fornire tutti gli aggiustamenti necessari a rendere la navigazione nel sito fluida e veloce. Ogni suggerimento, è inutile persino dirlo, sarà ben gradito, così come anche la semplice opinione di ciascuno. Ciò che ci preme è comunicare la ricchezza del messaggio che i missionari della Consolata hanno nel cuore, e farlo nel miglior modo possibile.
 Diversità nella continuità
Dopo il primo impatto, in cui si è colpiti da un evidente contrasto soprattutto a livello cromatico, sarà facile notare come in realtà il sito conservi una struttura assolutamente familiare. Tutte le parti che costituivano la vecchia edizione sono state conservate, ad eccezione di pochi elementi che erano rimasti pressoché inutilizzati nel corso degli anni. Le rubriche più seguite sono sempre in evidenza, così come estremamente facile è l’accesso alle nostre fonti carismatiche, contenute nel sito dedicato al nostro fondatore.
Ci è sembrato importante continuare a garantire una certa continuità, mantenendoci fedeli a uno stile e a una scelta editoriale che finora ha reso un bel servizio ai missionari della Consolata, che leggono con piacere e frequenza quanto viene pubblicato in questo strumento che da sempre “sentono” essere loro. Uno stile che, per altro, piace anche ai nostri amici e visitatori occasionali che con frequenza accedono e navigano tra queste pagine.
 Sentirsi un po’ più giovani
Nel medesimo tempo, abbiamo provato a dotare il sito di qualche accorgimento multimediale che lo rendesse più attraente e multi funzionale, senza però appesantirne eccessivamente grafica e struttura e rendendone possibile l’apertura e la navigazione anche in luoghi dove le connessioni internet non sono delle migliori. Sarà però possibile guardarsi qualche video e riconoscere non soltanto la penna o il volto del missionario che si conosce, ma vederlo in azione, ascoltandone la voce. Così come sarà importante avere un buon apparato iconografico, ovvero… tante fotografie, perché il mondo è bello leggerlo, ma anche guardarlo nello splendore di tutti i suoi colori.
Lo stesso discorso dicasi per la possibilità di interfacciarsi meglio con i cosiddetti social networks, moltiplicando così ulteriormente i percorsi di accesso ai contenuti del Sito.
 Un sito di tutti
Internet ha amplificato moltissimo la possibilità di trasmettere in tempo reale i contenuti che si vogliono comunicare. Il proliferare di siti, blogs e altri mezzi di comunicazione sociale digitali testimonia il fatto che non si può fare comunicazione oggi se non si ha un supporto multimediale adeguato. Senza diventare fanatici della tecnologia e mantenendo un occhio di riguardo soprattutto nei confronti del contenuto che si vuole comunicare, pensiamo che questo sito dovrebbe, un domani, diventare il grande portale capace di dare accesso al mondo dei missionari della Consolata. Oggi, però, ci accontentiamo di raccogliere le voci della missione, sia quella più generale della Chiesa, sia quella che, personalmente e comunitariamente, tanti nostri missionari portano avanti in più di venti paesi distribuiti in quattro continenti. È soprattutto a voi che ci rivolgiamo oggi presentando la nuova home page. La parola home significa “casa, focolare”. Sentitevi a casa vostra in questo sito, perché lo è. Raccontateci cosa succede nelle stanze della vostra missione e noi, attraverso questo mezzo, faremo arrivare il vostro racconto nella case di altri, di molti, potenzialmente… di tutti.

Buona navigazione:
padre Ugo Pozzoli
Consigliere Generale IMC

domenica 26 agosto 2012

Da via Cialdini alla steppa


Sono migliaia i chilometri che separano Torino da Ullaan Baatar e a pensarci fa un certo effetto ritrovarsi così lontani da casa, da via Cialdini e dalla parrocchia Regina delle Missioni, luogo dove, seppur in anni diversi abbiamo condiviso parte della nostra formazione cristiana. Il fatto è che siamo due parrocchiani un po’ particolari, entrambi missionari della Consolata: padre Giorgio Marengo si trova in Mongolia da ormai quasi dieci anni, mentre il sottoscritto lavora nel Consiglio generale dell’Istituto, incaricato di accompagnare le nostre missioni in Europa ed Asia.
C’è però aria di casa nel fuoristrada che, insieme a Suor Lucia Bartolomasi (di Alpignano), ci trasporta dalla capitale della Mongolia a Arveiheer, dove ha sede la piccola comunità dei missionari e delle missionarie della Consolata, eretta parrocchia da poco più di un mese. Macinando chilometri si intrecciano ricordi, mischiando con disinvoltura il presente della realtà missionaria fra i nomadi delle steppe, il futuro della nostra missione nel continente asiatico e il passato fatto di luoghi e volti, conosciuti e condivisi a Regina delle Missioni. È stato un po’ come portarvi con noi in missione, lì dove, in fondo, ci avete inviati anni fa perché fossimo l’espressione missionaria della vostra e nostra comunità parrocchiale.
Non c’è alcun dubbio che la missione in cui lavora padre Giorgio, sia di frontiera, in un contesto di prima evangelizzazione e dove la bellezza primitiva ed incontaminata dell’ambiente riesce soltanto in parte a mitigare le asperità del clima, della lingua e della condivisione della vita sociale con la gente mongola. Colpisce però vedere la serenità e la gioia con cui lui e gli altri missionari e missionarie della Consolata si aprono alla novità di questa missione che rappresenta per il nostro Istituto una sfida nuova ed entusiasmante. Questa è senz’altro l’immagine più bella e forte che porto nel cuore.
Chissà che un giorno un pellegrinaggio un po’ speciale non possa condurre qualcuno della parrocchia, magari qualche ragazzo dei gruppi giovanili, ad “assaggiare” un po’ di missione in Mongolia. Giorgio, immagino, ne sarebbe contentissimo, così come felice sarebbe senz’altro la nostra Patrona, Maria Regina delle Missioni, oggi presente nell’immagine della Vergine Consolata, davanti alla chiesa, a forma di tenda mongola, della comunità di Arveiheer.

martedì 19 giugno 2012

Consolata: auguri dall'Asia


Icona della Consolata dalla Mongolia

Senza voler mettere in dubbio il valore universale della consolazione, è bello sottolineare oggi, 20 giugno 2012, festa della Consolata, come l’Asia vesta splendidamente questo manto di misericordia e grazia con cui Dio protegge i suoi poveri attraverso l’intercessione di Maria. Indico una data precisa perché segna un impegno nel tempo che i missionari della Consolata si sono dati, nel loro Capitolo generale, di aprirsi con più decisione al continente più grande e popolato del mondo, in grandissima parte non cristiano.
Essere missionari in Asia oggi - lo hanno condiviso con noi in questi giorni confratelli e consorelle che lavorano in Corea e Mongolia - significa essere un seme gettato in un campo vastissimo, dove non esistono solchi, ma soltanto la casualità di poter cadere in terra fertile ed accogliente, dove inizi lentamente a crescere e, forse, a dare frutto. Significa lavorare nel silenzio, in punta di piedi, assaporando quotidianamente la difficoltà di vivere in un continuo paradosso: cercare l’utilità della missione nel sentirsi inutili, la grandezza nelle piccole cose, la centralità della nostra fede nel sentirsi emarginati e periferici.
Maria Consolata incarna questo stile alla perfezione. La serva umile che accoglie nel silenzio le pillole di mistero che il Signore le fa prendere poco alla volta (fino all’ultimo amarissimo rimedio assunto sotto la croce) diventa compagna d viaggio, maestra di vita e di stile per quei missionari che sono quasi obbligati dal contesto a fare una missione come il nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, avrebbe voluto: fatta bene… e senza rumore.
Statuetta proveniente dal Perù
Tanti auguri a chi legge, dunque, semplici e sentiti, accompagnati da due immagini significative: una Consolata “mongola”, dipinta da un pittore di Ulaan Baatar con ti tratti forti e gentili di una nomade delle steppe. È un’immagine conosciuta perché campeggia ormai da qualche anno sulla testata della homepage del nostro sito ufficiale, www.consolata.org. La seconda è una madonna peruviana che allatta il suo Gesù. L’ho fotografata oggi nell’ufficio di Mons. Pietro, vescovo di Ui-jong-bu, una diocesi alla periferia Nord della grande Seul, alla frontiera con la Corea del Nord, diocesi in cui lavorano i nostri confratelli della comunità di Tong-du-cheon. Offrono un servizio di evangelizzazione dei poveri che, oggi, sono in particolare i molti migranti, sovente illegali, che abitano quell’ultimo tentacolo di città che si esaurisce in una delle grandi basi militari americane tuttora presenti in Corea. In queste due immagini si specchiano i volti dei tanti che sperano nel Dio liberatore, in Colui che ascolta il grido del suo popolo e ne scioglie le catene, qualunque esse siano.
Buona Festa della Consolata.

domenica 17 giugno 2012

Mongolia: La parrocchia nel deserto


Peter e Giorgio, missionari ad Arweiheer
Un mese o poco più è trascorso dal mio rientro dalla Mongolia. Un viaggio che non sembra essere mai finito per l'aver nuovamente incontrato in questi giorni i missionari e le missionarie che lavorano a Ulaan Baatar e Arveiheer, le nostre due "basi" nella patria di Genghis Kahn. Insieme a loro abbiamo riflettuto su cosa significa essere missionari oggi in Asia, cosa di fondamentale importanza visto che le nuove direttive del nostro Istituto, in obbedienza al fatto che siamo missionari per la prima evangelizzazione, ci impongono di rivolgerci decisamente verso questo immenso continente. Li abbiamo visti ripartire riposati e motivati (i confratelli della Corea, approfittando delle maggiori opportunità offerte dal paese, non peccano di ospitalità e generosità), in vista degli impegni importanti che li attendono. Oggi, la missione di Arveiheer è stata eretta parrocchia ed è stata festa grande nella piccola cittadina mongola, che si affaccia sul deserto del Gobi. La chiesa è una tenda, una gher, come le abitazioni tradizionali dei nomadi delle steppe, a significare una presenza piccola di una chiesa che sta nascendo e si sviluppa poco a poco. Dio pianta i paletti della sua tenda in mezzo al popolo che ama; un gesto promesso e compiuto innumerevole volte nella storia della Salvezza e ripetuto oggi, nel deserto di erba e sabbia che circonda la missione di Arveiheer.


Un sito da tenere nei preferiti

La "tenda-parrocchia" di Arweiheer

giovedì 24 maggio 2012

Missionário deve ser «mestre» da comunicação

Ugo Pozzoli acredita que o espírito de continentalidade pode contribuir para reforçar a unidade e cooperação entre as diversas comunidades da Consolata, espalhadas pelo mundo

Fátima Missionária

domenica 19 febbraio 2012

Tutti evangelizzati, tutti evangelizzatori

Ritornare a Gesù Cristo e alla radicalità del suo Vangelo è un qualcosa di imprescindibile se vogliamo far passare in maniera effettiva il messaggio che dobbiamo comunicare. Non solo, è quanto mai appropriato per la nostra famiglia religiosa, in cerca di piste adatte a proporre una missione incarnata nell'oggi e desiderosa di intraprendere un cammino di conversione verso l'essenziale dell'annuncio di ieri, di oggi e di sempre.
Non possiamo essere evangelizzatori se non ci lasciamo costantemente evangelizzare da Cristo, incontrato nella sua Parola, nei poveri, nei Sacramenti; è un proposito che avrebbe sicuramente raccolto l'approvazione del Beato Giuseppe Allamano, ricordato e celebrato ieri a Fatima nel consueto pellegrinaggio annuale che i missionari che lavorano in Portogallo offrono ai tanti amici della Consolata in occasione della festa del nostro Fondatore. Il "prima santi e poi missionari" dell'Allamano si legge con chiarezza dietro al: “Todos evangelizados, todos evangelizadores”, motto della giornata e delle attività di tutto l’anno.
Circa novemila persone hanno partecipato ai vari momenti della giornata, segnata da un forte richiamo alla preghiera: nel rosario detto sui cento pullman che hanno convogliato la maggior parte dei pellegrini a Fatima, nella lunga via crucis missionaria, nella preghiera presso la cappellina delle apparizioni e, infine, nella grandiosa celebrazione eucaristica finale, celebrata nella grande chiesa della Santissima Trinità, capace di ospitare tutti i pellegrini accorsi al richiamo dell’Allamano. La speranza, ovviamente, è quella di costruire percorsi di incontro e formazione capaci di evangelizzarci, convertendoci così in efficaci evangelizzatori!




giovedì 9 febbraio 2012

La vita è un soffio

Ricordati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene (Giobbe 7, 7).

La prima lettura di domenica scorsa poneva queste parole nella bocca di Giobbe. Benedetto con una vita fortunata, ricco di figli, salute  e beni materiali, Giobbe si ritrova ammalato, sul lastrico e senza discendenza in poco tempo. La vita è un soffio, e di questa fragile contingenza in cui quotidianamente si dibatte il genere umano e che in questo momento lo sta colpendo così duramente, Giobbe chiede conto a Dio.
Dobbiamo staccarci dal pessimismo radicale che segna l'inizio del libro e non arrendersi all'impossibilità di vedere un giorno la luce splendere nuovamente nei nostri cuori e nella nostra vita; tuttaviaa non possiamo fare a meno di "sentir que es un soplo la vida", come cantava Carlos Gardel in Volver, un suo bellissimo tango (copio il link per poterlo ascoltare nella bellissima versione "flamenco" di Estrella Morente, così come appare nell'omonimo film di Pedro Almodovar).
La vita è un soffio e ieri sera ne ho avuto un'altra dimostrazione quando, ritornato a casa da un giro a Buenos Aires, ho saputo dell'assassinio avvenuto nel centralissimo parco del Retiro, di un turista francese che si era avvicinato per scattare qualche foto al monumento ai caduti della guerra delle Malvinas. Volevano rubargli la macchina fotografica, ha resistito all'assalto e si è preso una coltellata in pieno petto. Erano le 8 e mezza di mattina. Si chiamava Laurent, era un geologo ed amava la natura che fotografava con passione; aveva 52 anni, la barba, un gran sorriso e vedendo la foto pubblicata oggi su tutti i giornali anche un qualcosa di familiare. Sono passato di lì mezzora dopo, accompagnato dal fido padre Ariel, mia guida a Buenos Aires per un ultimo giorno di permanenza, puro turismo e tante foto che, non si sa mai, alla rivista potrebbero sempre servire. Aveva passato la mezzora precedente a catechizzarmi sul come tenere la macchina fotografica perché non me la sfilassero di nascosto, perché... non si sa mai. Verso le 9 e un quarto siamo passati anche noi, in bus, davanti al parco del ritiro. Ho visto la polizia, il furgoncino di una rete televisiva e ho scattato un paio di foto pensando che ci fosse un po' di tensione in merito alla questione delle Malvinas/Falklands e alle recenti polemiche che hanno coinvolto i governi argentino e britannico in occasione del trentennale del conflitto. Nulla di tutto questo: Laurent ha voluto raccogliere qualche immagine prima di lasciare definitivamente l'albero insieme a una coppia di amici che, ignari, stavano facendo le valigie per andare insieme a lui all'aeroporto. Avrebbero fatto ancora una tappa, qualche scatto alla natura e poi via, sarebbero tornati in Francia. La vita è un soffio, bisogna sentire che la nostra esistenza è tale e vivere in modo vero, serio, sincero, profondo ed impegnato la nostra esistenza, godendo di quegli attimi che possiamo stringere nelle nostre mani come un dono del presente, tanto prezioso quanto effimero. Chi ha fede, di quegli attimi ringrazia Dio.
Allego il link di Volver (Ritornare), nella bellissima versione "flamenco" di Estrella Morente, così come appare nell'omonimo film di Pedro Almodovar; è dedicato a Laurent Schwebel e alla sua famiglia, perché in Francia ritorni il ricordo bello, sereno e appassionato, dell'uomo che faceva fotografie alla natura. Forse, il sorriso con cui appare questa mattina sulle prime pagine dei giornali locali farà sentire meno il peso della sua assenza e accarezzerà come soffio leggero la vita di chi rimane e oggi lo piange.